Il Teatro è un luogo a cui sono personalmente molto legata. È naturale per me, quindi, riflettere sugli interrogativi che la situazione delle ultime settimane ha imposto agli addetti ai lavori. Le recenti chiusure mi hanno costretta a pormi domande su quelle che sono le loro preoccupazioni, le loro risorse, interiori e artistiche, necessarie per affrontare il momento e quelle che saranno le loro armi di rinascita. Il teatro uscirà da questo periodo di certo estremamente ferito e sofferente. Ma dalle parole delle realtà che sto intervistando percepisco anche una consapevolezza e una volontà di ripartire che troveranno il pubblico pronto a riabbracciare questo palco lasciato solo per troppo tempo. Di seguito, la riflessione del Collettivo Drama Teatro, un’altra delle realtà più significative del territorio modenese.
Qual è la prima cosa che avete pensato dopo la comunicazione della chiusura del teatro?
Fino all’ultimo abbiamo sperato di poter recuperare gli ultimi due spettacoli della stagione e di poter continuare il tour delle nostre produzioni in Italia. Per fortuna siamo riusciti a concludere le date in Campania de “La vecchia”, ma a seguito del blocco totale “Litost” a Siena e “Mariti” a Bergamo sono saltate e non sappiamo quando verranno recuperate. Anche le prove previste per le nuove produzioni 2020 sono in stand-by.
Quali sono state invece la reazione e la strategia adottata dal teatro a seguito della chiusura?
Abbiamo subito contattato le compagnie degli ultimi due spettacoli programmati e cercato con loro un’altra data possibile. Dopodiché abbiamo inviato una newsletter a tutti i nostri soci e al nostro pubblico lanciando un messaggio di speranza per il futuro e lo stesso abbiamo fatto sui nostri canali social. Non volevamo recriminare troppo o apparire come vittime, nonostante le perdite economiche ci siano state e siano state importanti. Il Drama, oltre alla stagione e al festival, è ormai un punto di riferimento per tantissime associazioni modenesi che da anni usano gli spazi per le loro attività. Penso a InTandem, Amici della Musica, Alice Onlus e anche tanti privati o liberi professionisti o aziende che si sono appoggiati a noi per usare un ufficio o una delle sale teatrali. A tutti loro abbiamo voluto comunicare forza e decisione e lanciare un messaggio positivo per il futuro.
Ci sono state reazioni da parte del pubblico?
Sì, i più affezionati ci hanno subito contattati anche privatamente dandoci il loro sostegno morale. Stiamo mantenendo una relazione a distanza anche con i partecipanti ai laboratori di teatro e danza, i quali hanno dimostrato grande interesse nonostante abbiamo scelto di non fare lezioni online.
Pensate che una strategia comunicativa studiata possa portare dei vantaggi in situazioni di emergenza come questa?
Molto difficile secondo noi che ci siano dei vantaggi. Siamo abituati a fare di necessità virtù, questo è vero, e la penuria stimola l’ingegno, ma elaborare una strategia comunicativa in questa situazione è complesso. L’unico lieve vantaggio è che le persone sono connesse per più tempo sui social network, perciò è più probabile riuscire a instaurare un dialogo virtuale tra noi e loro.
Questa occasione vi ha dato modo di sviluppare nuovi spunti di riflessione?
Avremmo preferito non avere questo tipo di “occasione”. Anche perché gli spunti di riflessione non ci mancano. Siamo in una fase di espansione e uno stop forzato non ci voleva. Diciamo che abbiamo rallentato ma non ci siamo fermati.
Come collettivo Drama la riflessione più importante che abbiamo fatto è sul settore dello spettacolo: la situazione emergenziale ha svelato le debolezze strutturali e soprattutto i pregiudizi radicati. Tutte le realtà piccole e grandi si reggono sui finanziamenti di enti pubblici e sulle sponsorizzazioni di imprese private. I biglietti sono solo una piccola percentuale del bilancio. Di questo non si parla mai e perciò il pubblico non lo sa. Il vero problema dopo l’emergenza sarà che gli stakeholder avranno difficoltà a continuare a finanziare il settore culturale. I biglietti e le date si possono recuperare, ma solo se si riesce a riprogrammare e rivedere i bilanci anche rispetto ai bandi pubblici di finanziamento delle attività culturali.
Come consigliereste di passare questo periodo in cui non si possono frequentare luoghi di aggregazione (letture, ascolti, visioni, attività, …)? Si può fare cultura senza uno spazio pubblico, senza il vissuto fisico delle persone?
Queste due domande le vedo molto collegate. Innanzitutto devo dire che abbiamo apprezzato le moltissime iniziative che hanno attivato istituzioni culturali grandi e piccole, che mirano a coinvolgere le persone nella fruizione di contenuti di qualità anche da casa. I film dell’archivio della cineteca di Milano, per fare un esempio, o gli audiolibri su RaiPlay (a questo proposti qui potete trovare i consigli di MoCu in collaborazione con il cinema Astra per sostenere l’industria culturale cinematografica, ndr).
Consigliamo quindi, in questo tempo sospeso, di riconquistarsi i propri spazi di libertà privata, di ritrovare il piacere di chiudersi in sé stessi, o meglio, di riaprirsi a sé stessi. La società ci impone una relazione ininterrotta con l’esterno, con l’altro, questo può essere un buon momento per ritrovare la relazione con sé stessi e con chi ci è più vicino, un momento per rallentare e riflettere, uscire dalle relazioni tossiche dei social network.
Detto ciò per il teatro la questione è diversa. Il teatro esiste solo in presenza. È un attimo effimero che nasce e muore nel momento della scena. È una questione di relazione viva, è la ricerca di un comune sentire in un’ora (o più) di alti e bassi, di respiri e sguardi. Tutto ciò non può esistere “da remoto”. Il cinema, la letteratura e la musica in qualche modo possono salvarsi, pittura e scultura ne escono acciaccate ma ne possono uscire, il teatro, la danza e le arti performative no. Questo non significa che le istituzioni culturali debbano chiudere il dialogo all’esterno, anzi è importantissimo mantenere aperti i canali di comunicazione con i propri pubblici reali e potenziali.
Raccontateci cosa avremmo visto negli ultimi spettacoli della vostra stagione.
“Medea per strada”, lo spettacolo che sarebbe dovuto andare in scena dal 16 al 22 marzo, per ben dieci repliche, era parte di un progetto su tratta e prostituzione sostenuto dalle Unità di Strada di Modena, e da tre Assessorati (Istruzione, Cultura e Pari Opportunità). È uno spettacolo itinerante su un furgone per sette persone alla volta, l’attrice è Elena Cotugno candidata quest’anno al Premio Ubu come miglior attrice under35. Avevamo già il sold-out e la lista d’attesa, ma riusciremo a riprogrammarlo a novembre molto probabilmente.
“Circo Kafka” è l’ultima creazione di Claudio Morganti e Roberto Abbiati. Una versione molto originale del “Processo” di Kafka che ha ricevuto critiche positive notevoli dal suo debutto a oggi.
In sospeso abbiamo ancora il primo weekend di laboratorio di drammaturgia con Rita Frongia, per il quale avevamo già dieci persone da tutta Italia. Dovrebbe essere dal 16 al 19 aprile, incrociamo le dita.
La cosa più importante è che non salti la sesta edizione di “Città e Città”, festival estivo che quest’anno durerà dal 30 maggio al 7 giugno con importanti novità.