11 maggio, ore 18,00
Malaluna è un luogo dell’anima, è uno spazio apparentemente reale, è l’occasione per fare un viaggio dentro la città di Palermo cercando di raccontarla in una sorta di “concerto per voce sola,” dove la “voce sola” è quella di Vincenzo Pirrotta e la musica è quella di Emanuele Esposito, che qui ha composto per una piccola orchestrina metropolitana.
Racconti duri che vogliono produrre sulla scena una riflessione poetica sulla speranza umiliata di questa città e del suo hinterland senza ricorrere ad immagini stereotipate, false e senza alcuna rimozione. La lingua e i ritmi e le risonanze arcaiche sono aspre e dolci al tempo stesso, con una straziata musicalità tesa a restituire come in veloci sequenze fotografiche tutta la realtà “sconcia, slabbrata e brutale” di questa città. Un’umanità varia e dolorosa presentata sulla scena senza alcun infingimento ma con violenta sincerità.
Un’umanità periferica e marginale che merita di trovare qualcuno desideroso di portarla in scena ed imporla alla nostra sempre più distratta attenzione.
12 maggio, ore 18,00
Koronoteatro, “All’inferno – Furore e Rimorso. Appunti per un percorso di lavoro ispirato al Tieste di Seneca”
Esito del laboratorio con i detenuti della Casa Circondariale di Modena.
Note sul lavoro:
“Nel lavoro che abbiamo pensato di proporre volevamo approfondire alcune tematiche che affiorano dalla tragedia di Seneca Thiestes e che scavano nel concetto di scelus (delitto/misfatto), e raggiungono l’aspetto più profondo e segreto, il meno visibile ma il più decisivo e sconvolgente: la tempesta di passioni da cui prorompe il delitto; e soprattutto la scoperta che in questo violento tumulto emotivo, il delitto trova la sua prima tremenda punizione, perché è inevitabile che il furore finisca per incrudelire proprio chi il delitto commette; e la prima e più tragica follia di questo tumulto consiste nel fatto che colui che si lascia trascinare da esso non si rende conto di procedere innanzi tutto verso la propria rovina, o magari se ne rende conto, ma – follia suprema – vi si butta lo stesso a capofitto. A noi interessa attraverso un lavoro con i detenuti e attraverso le parole e i personaggi senecani (Atreo e Tieste) indagare, partendo dal lampo che illumina ciò che sta immediatamente prima del delitto, l’istante del definitivo cedimento all’impulso scellerato una volta caduto l’ultimo baluardo della ragione, esaminare quello stadio in cui lo scelus-misfatto comincia ad essere concepito, quell’oscuro processo genetico per cui il furore si insinua nell’anima, la scuote, la violenta, se ne impossessa e vi inculca il seme del delitto; già in quel preciso istante il misfatto comincia a generare l’unico frutto di cui sia capace: sofferenza; la quale, non ancora compiuto l’atto si scarica invece, sotto la forma di devastante sconvolgimento di ogni equilibrio psichico, proprio sul colpevole, del quale costituisce la prima, terribile punizione, nell’attesa che a questa si aggiunga, dopo il fatto, inesorabilmente quand’anche il delitto rimanesse impunito, un’altra non meno terribile punizione, quella del rimorso.”
Aleksandros Memetaj, “Albania casa mia”
regia Giampiero Rappa
aiuto regia Alberto Basaluzzo
Argot Produzioni
Vincitore Premio Museo Cervi – Teatro per la Memoria 2016
Vincitore Premio Avanguardie 20 30 (Bologna)
25 febbraio 1991, Albania. Il regime comunista che per più di 45 anni aveva controllato e limitato la libertà dei cittadini albanesi è ormai collassato. Il malcontento del popolo si esprime con manifestazioni, distruzione dei simboli dittatoriali ed esodi di massa, per primo quello di Brindisi. Tanto più che il focolare della rivolta, ultimo in Europa, aspetta da anni, dopo la morte di EnverHoxha nel 1985 e la caduta del muro di Berlino nel 1989, di appiccare, a partire da Scutari, divampando poi in tutta la nazione e raggiungendo le città principali: Tirana, Durazzo e Valona.
I movimenti politici formatisi (soprattutto diseredati, intellettuali e studenti) cominciano ad agitarsi contro il governo. Le Ambasciate vengono aperte dai rispettivi paesi e inondate di persone richiedenti asilo. Allora il presidente Ramiz Alia concede il diritto di viaggiare fuori dallo stato, riaprendo i confini e aprendo all’economia libera. Migliaia di persone cercano di scappare verso l’Occidente partendo dai porti di Valona e Durazzo con navi, pescherecci e gommoni diretti verso l’Italia. Tra questi c’è anche Alexander Toto, trentenne che scappa da Valona a bordo del peschereccio “Miredita” (Buon giorno) e giunge a Brindisi. In quel peschereccio c’è anche Aleksandros Memetaj, bimbo di 6 mesi. Albania casa mia è la storia di un figlio che crescerà lontano dalla sua terra natia, in Veneto, luogo che non gli darà mai un pieno senso di appartenenza. “Albania casa mia” è anche la storia di un padre, dei sacrifici fatti, dei pericoli corsi per evitare di crescere suo figlio nella miseria di uno Stato che non esiste più. E’ anche la storia del suo grande amore nei confronti della propria terra, di grande patriottismo, di elevazione di alcuni valori che in Italia non esistono più. Quando il popolo piange sangue e si ribella allo Stato, per un gioco controverso dell’animo umano il cuore, pur bagnato di veleno, conserva gli odori, le immagini e i dolci ricordi di una nazione unica, con una storia sofferta e passionale. I destini di Aleksandros Memetaj e Alexander Toto apparentemente lontani si incrociano più volte nella storia fino creare un’unica corda, un unico pensiero. Finché l’uno diventerà il figlio e l’altro il padre.