“Mi presento: sono Niccolò Bruni, sono nato a Modena trentanove anni fa nel 1977; dopo vari anni di serate divertenti, con un discreto apice negli anni novanta e primi anni duemila, e un panorama musicale florido che era questa terra, l’Emilia e Romagna, sono rimasto intrappolato nel mondo della musica. Quando ero bambino non ho mai pensato che sarei diventato un dj-produttore, ci sono rimasto in mezzo. Mi sono divertito così tanto, che sono rimasto folgorato, o meglio dire fregato!”.
Questo è l’incipit con cui Niccolò, in arte Billy Bogus nonché founder & owner della Pizzico Records, inizia la nostra lunga e bella chiacchierata. Siamo seduti nel suo studio, e sono curioso di conoscere la sua storia.
Che musica ascoltavi negli anni novanta?
“La mia formazione musicale è abbastanza particolare, ma penso possa essere quella di tanti nati in Emilia: nel novanta spaccato scopro i Run Dmc e i Public Enemy durante le giornate estive passate ad ascoltare i dischi a casa di amici, da lì il passo al Metal/Hard Core è stato immediato, perché poi band come gli Anthrax collaboravano con i Public Enemy: parliamo degli albori del Crossover e se eri un vero alternativo dovevi ascoltare per forza questo genere di cose… (ride ndr.).
Dal metal, anche quello più truce – ero molto legato all’estetica del grindcore e di conseguenza al punk – inizio ad ascoltare gruppi come Sonic Youth, Fugazi ed altri artisti più contaminati. Successivamente, si parla del ‘92, comincio a dilettarmi con un gruppo punk-hardcore nei centri sociali, i No Reason To Believe, e un anno più tardi, paradossalmente, a frequentare le discoteche della Riviera e più precisamente di Cattolica, dove è nato e suonava regolarmente Daniele Baldelli e dove si ballavano sonorità ibride ed affascinanti: tra queste una house scura e minimale che chiamavano “L’Underground” e che mi faceva muovere, per poi passare invece a suoni più legati a un immaginario afro da un lato e progressivo dall’altro. È in questo preciso momento che è scoppiato il mio amore per il Clubbing nostrano”.
Il primo disco dance che hai comprato?
“Se ben ricordo fu l’album dei Deee-Lite “ World Clique” che conteneva “Groove is in the Heart”. Incollato a Videomusic, mentre aspettavo passassero i video dei miei beniamini metallari, scorrevano a ripetizione due Clip completamente estranee ai miei gusti dell’epoca ma che mi catturavano: uno era di Vinicio Capossela “All’una e trentacinque circa” (di Vinicio sono stato un vero fan negli anni successivi), l’altra era la hit dei Deee-Lite, che mi faceva impazzire.
In realtà, quasi un anno prima, acquistai anche “Pump Up the Jam” dei Technotronic, che ascoltavo mentre mi sbucciavo le ginocchia in skate per le strade modenesi, tutta la “cricca” dei writers locali l’ho conosciuta in quel periodo di forte antagonismo adolescenziale e ormonite”.
A tal proposito voi nati a fine anni 70 siete una generazione che ha fatto un salto di qualità che a noi, ovvero quelli degli anni ’60, è mancato o si è realizzato in parte. Vedo che siete andati a fondo nelle cose che hanno catturato il vostro immaginario giovanile, siete diventati dei veri esperti in varie discipline: se penso a te e a Pietro Rivasi penso a una generazione non di nerd e basta ma di veri nerd-militanti! 🙂
“Ti ringrazio per l’appellativo e nel mio caso confermo al 100%, in effetti la nostra generazione è fatta di intrippati cronici: tuttavia può essere che, avendo a nostra disposizione “solo” la decade dei ‘90 a livello creativo e per certi versi davvero rivoluzionario, ce ne siamo appropriati fino in fondo rimanendo invischiati in alcuni argomenti specifici. Invece voi, che avete vissuto due decadi molto vive come gli ’80 e i ’90, avete “civettato” maggiormente su vari fronti potendovi permettere molti più collegamenti del vissuto, ma questa è solo una mia supposizione. Se ci fai caso Jumbo stiamo dando per assodato che l’arrivo della civiltà digitale abbia decretato la fine del “vissuto” come lo conoscevamo, nel bene e nel male…
Ad ogni modo può essere anche rischioso essere parte della mia ondata: si rasenta la soglia del monotasking! Io, ad esempio, ho quelle due o tre passioni divoranti in cui sono completamente immerso ma se mi chiedi una cosa, che ne so, legata al mondo dello sport conosco poco e niente. Spesso mi manca una conoscenza a tutto tondo e mi reputo un acerrimo nemico del nozionismo fine a se stesso. La verità è che ignoro tantissime cose”.
Quando inizi a fare il dj?
“Inizio verso i diciotto anni, all’epoca mi definivo un semi-squatter. Dormivo spesso al centro sociale La Scintilla ed ero molto amico di Colby, lo sono ancora: Avevamo organizzato dei concerti, e anche degli afterhour party che partivano alle quattro di notte e arrivavano a mezzogiorno del giorno dopo. Lì ho conosciuto DJ Soneek Max (Rip) che, una volta abbandonata la console dell’Oasis di Sassuolo alle tre di notte, giungeva quatto quatto alla Scintilla in compagnia dell’amico DJ Black Satanic Mala e una valigia carica di musica Trance inglese, la prima Jungle, ed altri vinili molto innovativi. Si cercava anche di allestire lo spazio con monitor e con videocamere che riprendessero la tv creando dei loop di immagini, parliamo di tecniche primordiali ma con un effetto sorprendentemente psichedelico: come sottofondo usavamo musiche di gruppi come i Can o i Tangerine Dream di cui sono tutt’ora fan sfegatato.
In queste situazioni comincio a muovere i primi passi come DJ, con tanti errori ma con un gusto piuttosto eterogeneo. È un’esperienza che mi ha formato: sono partito dal punk per arrivare alle serate di elettronica, dal 1992 fino al 1996.
Il 1998 segna però un anno di svolta: inizia l’esperienza con il collettivo dei Negroni Taste Department, una band con forti contaminazioni tra lounge music, sampling, hip hop e drum’n’bass.
Il ‘98 è anche l’anno del nostro primo concerto, Kappa (Francesco Capitani) ci chiede di suonare al Left: oltre che un privilegio – Il Left era davvero un epicentro cittadino di nuove tendenze musicali e cultura – è stata una serata fantastica, con gente di tutte le età, un’atmosfera divertente e al contempo rilassata, dove le nostre sperimentazioni sono state accolte a braccia aperte da tutti, clubbers e addetti ai lavori. Ecco Jumbo, potrei segnalarti questo come punto di non ritorno della mia carriera musicale, da lì ero ufficialmente lost in music”.
In concomitanza a questa bella esperienza cosa succede?
“Faccio un piccolo passo indietro: terminato il liceo classico/linguistico il mio sogno era andare a Roma per seguire l’Accademia Nazionale del Cinema e studiare Regia e Sceneggiatura perché da sempre super appassionato dell’argomento. Un paio di anni prima partecipavo anche ai corsi di storia del cinema che il Liceo Muratori proponeva nel pomeriggio: poteva accadere che facessi cabò la mattina ma non mancavo mai a una lezione pomeridiana di storia del cinema. All’epoca ero realmente intenzionato a intraprendere questa strada ed ogni spunto mi suonava come un incoraggiamento”.
Ok, ma perché questa passione?
“Perché per me il cinema racchiude tutto. I film hanno il potere di raccontare il passato, dare risposte sull’emblematico Oggi e anticipare il futuro, il cinema è un’arte divinatoria. Talvolta è magia pura, altre volte è solo cattivo cinema invece…”. (ride ndr)
Chi è il tuo regista preferito?
“È nato il mio stesso giorno, il 26 luglio, ma ovvio non il mio stesso anno, ed è Stanley Kubrick. Tra i mille poteri che aveva, perché di poteri si tratta, quello che mi ha sempre colpito è il suo essere ancestrale: Kubrick è capace di scavare nel profondo dell’animo umano in modo completamente misterioso ma con un grande senso estetico, da fotografo, quale era”.
Se dovessi far partire un’astronave con dentro un film di Stanley Kubrick per essere visto da altre civiltà, che film sceglieresti?
“Visto che di astronave si parla direi senza dubbio 2001 Odissea nello Spazio, che è un film del 1968 anche se sembra fatto ieri, una pellicola incredibile, con un finale totale nella sua incomprensibilità: tu non sai il perché ma rimani folgorato, annichilito davanti a tanta bellezza, e sottolineo: non sai il perché. Oltretutto il suddetto finale fu anche dettato da problemi di budget: la produzione aveva finito i soldi e Kubrick scelse di terminare il lungometraggio con il bambino gigante che fluttuava nello spazio. Questo la dice lunga sulle scelte della produzione, ma anche sulla suggestionabilità del pubblico, me incluso”.
Parlami ancora di cinema. Cosa lo lega alle tue passioni e al tuo lavoro?
“Ci sono vari legami: ad esempio un altro film di fantascienza che mi impressionò da bambino fu Dune di David Lynch, molto più di Blade Runner che riscoprii più tardi grazie alla clamorosa colonna sonora di Vangelis.
Ed ecco l’anello di congiunzione tra il mio lavoro e il mio hobby: le colonne sonore. Le suono e le campiono come DJ, le colleziono, non importa in che formato o in che stampa; grazie a loro riscopro film di cui non conoscevo l’esistenza e viceversa, da lungometraggi a me ultra noti arrivo a particolarissime soundtrack, libraries etc.
È un lavoro basato totalmente sulla cosiddetta serendipità, ovvero su quel bizzarro processo per cui da un incontro casuale arrivi da tutt’altra parte, magicamente colleghi i puntini e annerisci gli spazi tra la musica che stai ascoltando, il film che stai vedendo, il libro che stai leggendo e soprattutto ciò che stai provando in quel particolare periodo della tua vita.
Al momento curo una rubrica che parla di cinema sul blog Beat to Be, la rubrica si chiama come il mio primo album discografico: Night Movie. Perché alla fine nel mio iter tutto è riconducibile alla mia passione per la celluloide, passando per la musica”.
Qual è il compositore di colonne sonore che preferisci?
“Sono un appassionato di cinema italiano, mi vengono subito in mente artisti come Piero Umiliani e Franco Micalizzi, amo Riz Ortolani perché credo abbia anticipato di qualche anno un altro grande maestro come John Carpenter: I SinTerrorizzatori (come li chiamo io), cioè quei suoni elettronici cupi, storti e distorti, Ortolani li faceva già in Cannibal Olocaust e come musica di sottofondo di altre pellicole. Sembra un gioco di parole ma Carpenter per me ha sintetizzato a sua volta il tutto e reso fruibile lo stile a un pubblico più ampio: come spesso accade in tante cose sono gli italiani ad anticipare mode, tendenze ma anche decadenze e fallimenti, siamo fatti così.
Come colonne sonore da “polpettone” cinematografico sono invece un grande fan di Mark Isham: lui ha fatto cose molto pop ma ha musicato tanti film più bizzarri tra cui “Romeo Is Bleeding” (in italiano Triplo Gioco, del 1993), con un sax bagnatissimo dalla pioggia, suoni ambient jazz ed altre atmosfere piuttosto rarefatte, una soundtrack stupenda”.
Tornando alla tua volontà di intraprendere studi cinematografici, cosa è successo?
“Come ti dicevo volevo andare a Roma con la mia ragazza di allora, per studiare regia all’Accademia del Cinema. Lei si trasferisce, io rimango a lavorare come dipendente a Modena e nel frattempo qualcosa cambia: il panorama musicale italiano si evolve e sbocciano tante belle situazioni, anche in loco, senza bisogno di spostarsi troppo; inizio a fare sempre di più serate nei club, i Negroni Taste Department sono richiesti e cominciano a destare interesse in professionisti del mondo musicale, che poi sono diventati amici, come Damir Ivic, i Casino Royale, i Montefiori Cocktail con cui abbiamo condiviso svariate bevute e qualche palcoscenico (tra cocktails ci si intende!).
Iniziamo a fare delle mini tournée, suoniamo al Brancaleone nell’ambito della serata Agata ed altri club nel romano, e poi via altre date in Salento durante un’estate che rimarrà indimenticabile.
Preso da tutto questo fermento alla fine non mi muovo, rimango a Modena e al diavolo la scuola di regia… Inizio, più o meno consapevolmente, a strutturare quello che sarebbe diventato il mio futuro: suono come DJ resident al Vibra (ex Left) nel duemila sempre con la coloratissima combo dei Negroni e nell’ambito della serata Kixotica: è un dj set sui generis per l’epoca, io mixo le ultime uscite nu-jazz, disco e house e mi faccio accompagnare da un tastierista al synth (King Maida), un percussionista (Jérome), e da un Vj (Gallo), figura all’epoca non così frequente e piuttosto all’avanguardia.
Nel 2002 arriva il momento Vox, dove subentriamo proprio a te Jumbo e a Samanta, nella serata del sabato. Il Vox è un locale che ha fatto la storia della musica senza tanti dubbi ne preamboli, ci eravamo abituati davvero bene non c’è che dire. Suoniamo italo disco, la prima minimal, l’electro house, e ci sono circa duemila persone a serata che ballano queste nuove e vecchie proposte.
Va detto anche che non esistevano le pubbliche relazioni di oggi, bastava un gruppo di persone affiatato e una buona programmazione come il Vox aveva: si parla di Metro Area, Rainer Truby, Robert Owens, Moloko e tanti altri bei nomi all’epoca”.
Perciò, riassumendo, nella tua vita musicale passi dal punk-hard core, al metal, alla trance, alle colonne sonore, lambisci l’electroclash e poi cosa succede? C’è un momento in cui senti che ti manca qualcosa, ovvero crescere anche nel senso “ produttivo” della musica che fruisci?
“Diciamo che nei primi anni duemila l’esigenza di produrre diventa importante per me, avendo sempre frequentato studi di registrazione di buon livello sentivo di dover andare oltre il cd autoprodotto.
Con I Negroni erano stati confezionati due mini album che erano “girati” bene, Umberto Damiani dell’Irma era molto interessato al nostro progetto. Si sa, il mondo della musica è fatto così: grandi potenzialità ma anche grandi battaglie; nonostante facessi molte serate non riuscivo a impormi discograficamente, il mio stile da producer dell’epoca era definito troppo eterogeneo perché convogliava troppi spunti. E allora, come spesso il mio caratteraccio mi comanda, l’ho presa di petto e ho deciso di produrmi da solo”.
Beh, direi che sia stata per te la scelta migliore, non avere filtri, non dover rispondere della tua creatività ad altri.
“Sì, alla fine sì. Anche i Negroni comunque soffrivano di questo aspetto: troppo vari, troppo variopinti e per l’industria discografica questo è sempre un problema, più che un opportunità.
Ad esempio prendi i pezzi dance: in genere per ogni brano c’è un’idea vincente, forte; io storicamente non ce la faccio, devo rimpinzare il pezzo di almeno due o tre idee che escono spontanee e che sono magari frutto di un libro letto, due film visti, tre dischi ascoltati in quel periodo e che io amo collegare tra loro ed è ovvio che io mi faccia influenzare da tutto ciò che mi circonda: difficilmente sottraggo, amo l’arte massimale, sono pur sempre italiano! (ride ndr.)
All’epoca i discografici bravi capivano le citazioni dei miei demo, le apprezzavano, ma poi in seconda battuta frenavano, perché non c’era un suono univoco, come d’altra parte sono la maggior parte dei dischi dance contemporanei. Ora questo mood è esasperato e si generano filoni monotoni ricchi di clichés e poca fantasia: una sola idea spalmata su tutte le tracks di un album, di un ep o di un genere; pare non ci sia più tempo per andare in profondità, è finita l’era del “trip”, è per questo che mi piace continuare con questo stile, voglio essere fuori moda, ma soprattutto voglio essere me stesso”.
Quando comincia a cambiare qualcosa?
“Nel 2004 esce un remix dei Negroni TDP per la band dei Julie’s Haircut. Le mie conoscenze locali si espandono e tramite il blog di Antenna Uno Rockstation, emittente che frequentavo e in cui proponevo sempre coi Negroni una goliardica trasmissione settimanale chiamata KGKZ, conosco Alberto Bello che diverrà in seguito grafico e producer del mio marchio Pizzico.
Con Albi inizia una frequentazione non solo musicale (la prima sera andammo a vedere il concerto di Paul Weller) ma anche di approfondimento del misterioso web.
Scopro MySpace, la cui esistenza mi venne suggerita da un discografico inglese che finalmente, nel 2005, pubblica la mia prima traccia inedita sotto lo pseudonimo The Irrationalz sulla label londinese Jack To Phono. Sublimation, nome del brano, è co-prodotto con un altro personaggio legato ad Antenna Uno, Dj Cecc, ed altri musicisti tra cui Luca Cacciatore, il quale tutt’ora è solito accompagnarmi nei miei progetti. Dopo tante serate come DJ inizia finalmente la mia avventura come producer.
Un paio di anni dopo nasce il portale digitale di Juno Records, tale Juno Download, e dato che faticavo a trovare una distribuzione per i vinili che avevo progettato decido di mettere sul mercato le prime produzioni in formato digitale e creare finalmente la mia etichetta discografica con la sua continuità ed il suo catalogo: Pizzico Records”.
Eccoci qui, bene! Perché il nome Pizzico?
“Pizzico esprime un’attitudine, sicuramente ironica e ridanciana, a un suono passatista, alla disco oscura del Cattolicesimo, intendendo la città di Cattolica e non la religione. Parlo della Baia degli Angeli, del Cosmic, del Typhoon, della Mecca. Club unici in europa che proprio a metà anni duemila vengono riscoperti e influenzano le produzioni europee, ormai sature del fenomeno minimal. E tu mi dirai: sì ma perché Pizzico?
E io ti risponderò: perché “pizzicarsi” significava bucarsi, farsi di eroina, che all’origine di un certo sound era la droga prediletta di un determinato immaginario. Io ero ancora molto piccolo ma ricordo bene le siringhe raccolte dal buon Golinelli, l’uomo delle pulizie, sotto il mio condominio che, avendo un ampio giardino aperto sulla strada, era diventato uno dei tanti ritrovi di tossici in zona, senza dimenticare che Modena rappresentava uno dei centri nevralgici dello smercio dell’Italia anni ottanta.
Usando un pizzico, appunto, di ironia ho voluto dare un nome alle mie produzioni da club che anziché guardare a un incerto futuro si ispiravano ad un maestoso, esotico, decadente passato, in chiave contemporanea”.
L’avventura di Pizzico Records ti dà la possibilità di vivere con le tue produzioni, le tue serate e con le tue consulenze come Sound Designer, quindi rimani a Modena, non vai Roma a studiare Regia anche se, citandoti,
“rimane uno dei miei pochi rimpianti non aver seguito quella strada, ma continuo ad essere innamorato del cinema e mi piace questa posizione da semplice fruitore ed appassionato, la musica invece è diventata la mia occupazione principale: tutte le mattine sono qui in studio, con o senza idee, ma è appunto un lavoro, bello, stimolante, pieno di successi ma anche di grandi complicazioni e di freni, dettati soprattutto dall’epoca buia che stiamo vivendo e dal modus operandi nazionale che spesso ostacola, anziché agevolare”.
In tutti i modi io ti vedo molto come un “regista”, ovvero vedo Niccolò Bruni che gestisce una serie di persone le quali lavorano su un progetto. Penso che faccia parte del tuo talento questo pensare a 360 gradi.
“Amo scoprire le qualità delle persone che mi circondano e con cui ho affinità, collaborarci, cercare di mixare le mie attitudini con le loro mantenendo ognuno una propria identità. È affascinante, è un processo che mi arricchisce e spero arricchisca anche loro.
Come produttore il mio modo di pensare i brani di oggi è sempre più votato ad una modalità “soundtrack”, mi sento ormai distante dal concetto di “traccia da ballare a tutti i costi” e dalla dimensione club che secondo me è un po’ decaduta nella sua accezione classica e si sta trasformando in qualcos’altro.”
Perciò la prossima domanda è banale: ti piacerebbe fare la colonna sonora di un film?
“Ovviamente sì. Mi sto avvicinando alla cosa: quest’anno ad esempio ho creato con la mia band The Caribbean House la colonna sonora per Selfiesh, progetto del mio amico di infanzia Luca Zesi che è autore televisivo. Selfiesh è una mini serie web che coinvolge stimati e talentuosi attori come Ennio Fantastichini, Alessio Vassallo e Giammarco Tognazzi.
È una serie coraggiosa secondo me perché, semplificando, fosse nata negli anni ’70 la presunta provocazione sarebbe stata mostrare le tette della Fenech e la presunta denuncia quella di parlare delle differenze di classe o delle stragi. Invece ora la dimensione rivoluzionaria avviene in forma personale, quasi privata e basta essere un po’ intelligenti, a volte un tantino cervellotici, per risultare davvero controcorrente, come Selfiesh appunto. Tutti i protagonisti di questa serie si auto riprendono con lo smartphone mentre intraprendono dialoghi, che in realtà sono monologhi: una sorta di videodrome 2.0. in formato low budget con mini sceneggiature ben congeniate che ti sbattono in faccia come il rapporto con noi stessi e gli altri sia molto cambiato. È stato bello creare una musica di pura suspence per la puntata che vede come protagonisti Vassallo e Tognazzi e che si intitola “le città di notte”, titolo perfetto per il nostro sound!”.
Ma torniamo alla tua etichetta discografica, Pizzico Records…
“Ok. Il fenomeno Nu Disco nel 2006 era davvero agli albori e credo che Pizzico sia stata una delle prime entità italiane a interessarsi in forma pratica a questo genere, spulciando, catalogando, ripescando classici della disco, del funk, dell’italo disco e della proto house con l’aiuto di persone ispirate e dotate di grande esperienza che gravitavano nel clubbing di zona; senza di loro non ce l’avrei fatta perché anche in questo campo continuo ad ignorare tantissime cose…
L’attività della label era accompagnata già all’epoca da serate che proponevano quello “strano suono vintage” miscelandolo con influenze più moderne e Yess!Dj set era il nome del collettivo creato ad hoc per veicolare il tutto ad un pubblico giovane e ancora sensibile alle stranezze del dancefloor.
In quegli anni ho avuto la fortuna di condividere la console con i migliori DJ internazionali come Andy Weatherall, Erol Alkan, Glimmers, Joakim e ovviamente lui, uno dei creatori di questo sound ed ora (ri)conosciuto in tutto il mondo: Daniele Baldelli”.
Siamo arrivati ai giorni nostri. Dieci anni di Pizzico Records
“Sono volati e ci siamo divertiti. Per me è stato importante festeggiare il decennale con i Ciao Fellini, producendo e stampando in vinile quattro remix inediti di loro canzoni uscite negli anni ottanta; è stato importante in molti sensi perché contro il logorio del globalismo siamo tornati al localismo, esattamente nel cortile di casa. Siamo partiti con questa grande brama di internazionalità per chiudere il cerchio facendo quel passaggio che molti non riescono ancora a comprendere: valorizzare le proprie origini e il terreno che si ha sotto i piedi.
…Anche se nei favolosi 80s i Ciao Fellini erano un fenomeno locale fino a un certo punto, anzi erano famosi a livello mondiale grazie anche all’ondata dell’italo disco: non a caso molti dei feedback più entusiastici per questo vinile di remix sono arrivati dall’estero.
Pizzico ora conta una cinquantina di titoli a catalogo, quasi tutti singoli o EP, c’è un solo album a cura dell’amico Marco Antonio Spaventi (ingegnere del suono e producer romano trapiantato ad Amsterdam) e due compilation che hanno cercato di sintetizzare il suono dell’etichetta al meglio.
La maggior parte del catalogo è in digitale per ragioni prevalentemente economiche ma anche di tempi: se un’idea musicale ti sembra buona in quel momento è dura aspettare mesi per poterla pubblicare in formato fisico, anche se ultimamente cerco di tornare all’amato vinile per dare più valore alle produzioni e agli artisti coinvolti che sono tanti e provenienti da varie nazioni: dall’Italia all’Australia, passando per Germania, Francia, Inghilterra, Svezia, Spagna e Brasile.
Alcuni di loro sono stati scoperti o riscoperti da Pizzico, come Sare Havlicek, famoso produttore sloveno di Italo Disco, lo stesso Ichisan, sempre sloveno. L’indonesiano Jonathan Kusuma, che ora sta vivendo un momento magic, è stato prodotto da Pizzico nel 2010 con la sua band Space System e con l’aiuto del discografico Simone Serritella.
Poi ci sono tanti nomi blasonati del panorama disco, come In Flagranti, Dj Rocca, Severino di Horse Meat Disco, uno dei party più famosi al mondo, e il grafico/producer Alberto Bello, in arte Johnny Paguro che nel 2012 ha sfornato uno dei tormentoni Pizzico: The Aftermath, una piccola disco-hit che ha fatto il giro di tutti i club nostrani, e non solo, per un paio d’anni e continua ad essere suonata con sorprendente entusiasmo.
Le serate che si sono susseguite in questo lasso di tempo sono davvero tante ed è impossibile ricordarle tutte: Pizzico ha partecipato coi suoi dj a vari eventi, festival e party, ha curato assieme ad amici la programmazione di locali in zona ospitando nomi forti del panorama mondiale e sento che ha contribuito, a suo modo, a mantenere Modena e l’Emilia “terra di possibilità artistiche e culturali”. Devo dirlo, sono molto orgoglioso di tutto questo”.
Quando ascolto le tue produzioni percepisco che le tue radici sono le soundtrack da film, sento veramente che tu dovevi nascere trent’anni prima del ’77 e iniziare a fare il musicista nei tuoi amati B movies! Quali sono a tal proposito i paradossi che incontri nel tuo lavoro oggigiorno?
“Magari! Mi piacerebbe girare un film post atomico sul modello di Fuga dal Bronx di Enzo Castellari ambientato in terra padana, girarlo e musicarlo, questo è il mio sogno nel cassetto degli ultimi anni. (risate ndr.) In realtà anche io nato nel ‘77 ho avuto un florido passato da cui attingere per guardare avanti, anche se il mondo si è completamente capovolto negli ultimi quindici anni: ci sono molti problemi legati alla mia attività e purtroppo non è tutto oro quello che luccica, come si suol dire.
Ai dieci anni di label accompagno dodici anni di partita iva in “creazioni in campo musicale” e un’estensione ad altri ambiti perché talvolta mi capita di spaziare come consulente in diversi settori creativi.
La politica del lavoro è praticamente inesistente in Italia, i liberi professionisti non sono contemplati e rimangono poco competitivi all’estero perché appesantiti da una situazione fiscale abnorme.
È veramente difficile portare avanti i propri progetti qui a volte, perché la difficoltà burocratica deriva da una serie di problemi di ordine culturale: abbiamo da sempre i migliori grafici, esteti, musicisti non supportati da un sistema vecchio che piuttosto che cambiare si autocondanna al fallimento e questo condiziona l’opinione della gente che anziché interessarsi “lascia perdere”, puntando al ribasso.
Al contempo fatico a vedermi altrove: amo la mia città e la mia terra che tanto mi ha regalato ma che ora non sempre pare all’altezza delle nuove sfide. Una parte di me si è intestardita inesorabilmente e vuole dimostrare che è possibile creare qualcosa di interessante senza dover per forza espatriare. Per fortuna in tanti la pensano come me: noto sempre più persone che ci credono e si reinventano giorno dopo giorno esattamente come faccio io, mettendo in pratica idee talvolta eccezionali.
Poi, musicalmente parlando, a Modena è nato il beat italiano, da lì in poi le correnti musicali più innovative hanno sempre avuto il loro pubblico, attento e appassionato: dalle sonorità inglesi all’italo disco, ideata e prodotta in loco ed esportata in tutto il mondo.
E qui mi scappa un appello ai più giovani, sento di non poterlo trattenere scusami Jumbo! Prima di osannare ciecamente città come Berlino bisogna sapere da dove si proviene e quello che la propria terra ha rappresentato, e rappresenta, culturalmente, capito giovani?”.
Concludendo con argomenti più spensierati, il futuro prossimo della tua attività di dj, produttore e sound designer?
“Il mio alter ego Billy Bogus continuerà a sfornare dischi nella migliore delle tradizioni: uno diverso dall’altro, per sfuggire al successo che ci vuole tutti uguali!
Billy ha vari progetti che intende portare avanti, dai suoi brani solisti, al suo progetto jazz Strata-Gemma, al moniker Santuareg curato a quattro mani con l’amico Claudio Brioski fino ad arrivare alla sua live band The Caribbean House, con la quale ha prodotto negli ultimi mesi tantissimo materiale inedito.
Come Niccolò Bruni invece cercherò, alla soglia dei miei attesissimi (?) quarant’anni, di tracciare una linea e dare un senso a tutto quello svolto fino ad ora.
Tra giugno e settembre 2017 inaugurerò un’agenzia di sound design che include anche un market place, ossia un catalogo dove poter acquistare musiche già pronte per video di ogni sorta e fattura, dal backstage di moda al Film. Sono consapevole, ci sono già tanti siti di questo tipo sullo sconfinato web ma il nostro sarà di tipo più sartoriale, con meno generi musicali da cui attingere ma un appeal più vintage e filmico: le musiche saranno create con sintetizzatori analogici ed altri strumenti come si faceva per le library cinematografiche negli anni settanta e ottanta ma si avvarranno naturalmente di suoni più moderni, dall’elettronica più pura a una dance carica di atmosfere.
Naturalmente buona parte del catalogo Pizzico Records sarà incluso in questo progetto di sito/libreria a cui sto lavorando con il mio attuale tastierista e socio Federico Bologna.
Il portale si chiamerà STUDIO GONG e metterà a disposizione l’esperienza musicale di un selezionato team di produttori e ingegneri del suono per sonorizzazioni, installazioni, colonne sonore ritagliate su misura e create ad hoc.
Sono molto impegnato in questo progetto che vuole dare un servizio di maggior profondità sul discorso musicale nella comunicazione, spero quindi Studio Gong veda la luce al più presto, dita incrociate!”.