Esiste un linguaggio che semina odio, paura, sfiducia e che genera egoismo. Poi ne esiste un altro, opposto, che si prende quotidianamente la responsabilità di muovere al buon senso, alla comunità e che è materia da maneggiare con cura, perché contribuisce a creare una percezione costruttiva del tempo. Nel quarto episodio della nostra raccolta di testimonianze di chi utilizza, nel suo lavoro o personalmente, questo secondo tipo di linguaggio, incontriamo Veronica Vincenzi e vi raccontiamo del suo progetto “Abitare fenomeni atmosferici”.
Veronica Vincenzi, classe 1987, è Graphic Designer presso l’agenzia di comunicazione e studio pubblicitario Studio LATTE+ .
Com’è nato il progetto?
La risposta che darei di getto è che ho cercato di sopravvivere a tutto questo senza impazzire. Posso dirlo anche qui? Per settimane siamo stati costretti tra le mura di casa, mura che ci hanno protetto e sono state spettatrici uniche delle manifestazioni dei nostri stati interiori. Abbiamo provato a distrarci riempiendo il tempo con le attività più disparate, rimandando il momento del confronto con noi stessi, ma poi quello ad un certo punto arriva e allora si salvi chi può. Forse le mie illustrazioni sono esercizi pensati per chi le guarda, forse ho operato per lanciare messaggi di empatia, e mostrando qualcosa in cui anche altri si potevano rispecchiare, ci saremmo potuti sentire tutti meno soli, forse.
Dato che con il divieto di uscire l’irrilevanza del tempo metereologico reale è tangibile, ho preso in prestito quel linguaggio e quegli elementi propri del clima per creare le mie personali previsioni del tempo: quello emotivo. Questi elementi climatici sono diventati metafore che rappresentano visivamente emozioni e sbalzi d’umore, con oscillazioni tra la nostra percezione di estrema serenità in cui il sole risplende e le piogge si riempiono di lacrime, passando per tutte le fasi esplosive e le sfumature intermedie degli stati d’animo.
Climi miti avvolgono le case dei miei disegni e cataclismi vi si abbattono, ma sono tutte manifestazioni che si verificano scatenate proprio da chi le abita che è al tempo stesso vittima delle sue emozioni. Un paradosso meteoropatico in cui il clima che subiamo è stato generato emotivamente da noi in prima persona.
Quello che sento di voler dire, quando mi concentro su un clima emozionale, è di non viverlo passivamente, come invece per forza accade con il clima metereologico. È vero che è pressoché impossibile bloccare le emozioni, ma possiamo provare ad ascoltarle e viverle con consapevolezza, lasciarci andare per assaporarle o reagire per non esserne sopraffatti, in attesa di tempi migliori.
Siamo stati vittime di una infodemia: voci più o meno autorevoli hanno condiviso consigli e pensieri abusando di uno strumento che, se usato con i giusti criteri, ha un grande potere: il linguaggio. Fermo restando che la libertà d’espressione è croce e delizia della Democrazia e senza entrare nei meriti dell’assenza di un pensiero critico, secondo te, tutti questi contributi che fine faranno? Cosa resterà e grazie a cosa?
In una realtà in cui sono impedite le interazioni dirette, chi non comunica scompare e dunque comunicare significa esistere. L’eccesso di comunicazione che ci ha travolti in questi mesi credo sia il sintomo evidente di una nevrosi collettiva. Lo smarrimento globale riguardo il futuro che ci ha investiti all’improvviso, complici i (social) media, ha favorito un palinsesto disturbante nel quale sono stati sganciati a fasi alterne slogan e bombardamenti di dati ansiogeni. Abbiamo visto sfilare, uno dopo l’altro, finti entusiasmi, inquietanti nazionalismi, necessità di individuare eroi salvifici e untori, in una comunicazione rumorosa, assoluta ed invasata.
Proprio perché contesto-dipendente, non penso rimarrà una traccia così definita di questo esagerare. Ci stancheremo e la percezione del presente-oggi muterà al mutare della nostra percezione futura, applicheremo meccanismi di rimozione inconsapevoli e i vari pensieri svaniranno nell’oblio di una meteora.
Spero però in una seconda fase che potrebbe verificarsi quando inizieremo a vivere quel futuro incerto. Mi auguro che allora, libera da sensazionalismi viscerali, la comunicazione sarà in grado di evolversi, e che lo strumento linguaggio verrà utilizzato con criteri costruttivi. Perché, se è davvero una nuova crisi quella che ci aspetta, dovremo poter udire meno parole di comunicatori improvvisati e più pareri autorevoli.