Esiste un linguaggio che semina odio, paura, sfiducia e che genera egoismo. Poi ne esiste un altro, opposto, che si prende quotidianamente la responsabilità di muovere al buon senso, alla comunità e che è materia da maneggiare con cura, perché contribuisce a creare una percezione costruttiva del tempo.
Nel secondo episodio (il primo con Chiara Ferrin lo potete trovare qui) della nostra raccolta di testimonianze di chi utilizza, nel suo lavoro o personalmente, questo secondo tipo di linguaggio, incontriamo Ilaria Clari e scopriamo qualcosa in più sul suo progetto Nodi di dire.
Ilaria Clari, classe 1985, vive e lavora a Torino. L’abbiamo conosciuta con MoCu nel 2017, nell’ambito di una sua mostra personale in esposizione allo Spazio Meme di Carpi.
Considerazioni, poesie, insofferenze, abissi mensili e tante altre cose sono lo scenario dell’artista. Accompagnata dal suo animale guida, un lupo nero, passeggia tra i suoi nodi di dire sperimentando tecniche, forme e sé stessa.
Il tuo lavoro sta subendo particolari influenze in questo periodo storico?
Credo sia normale, in questo momento, che il linguaggio sia influenzato da questo argomento tristemente noto a tutti. Io personalmente sono molto condizionata da tutto ciò che sta succedendo e tante frasi che ho postato su Instagram riguardano questa pagina di storia. Devo dire, però, che ad oggi, mi sono un po’ stufata di indirizzare tutte le “attenzioni artistiche” a quest’unico argomento e sto cercando di differenziare per parlare d’altro. É nella natura umana, una volta presa coscienza dei fatti, metabolizzarli, digerirli e poi espellerli e ti chiedo scusa per l’allusione. Con questo non voglio dire che espellere il problema equivalga a dimenticarlo, sarebbe troppo facile. Voglio semplicemente dire che c’è bisogno di guardare oltre e trovare delle soluzioni per il futuro.
Oggi siamo vittime di una infodemia: voci più o meno autorevoli sentono la necessità di condividere consigli e pensieri abusando di uno strumento che, se usato con i giusti criteri, ha un grande potere: il linguaggio. Fermo restando che la libertà d’espressione è croce e delizia della Democrazia e senza entrare nei meriti dell’assenza di un pensiero critico, secondo te, tutti questi contributi che fine faranno? Cosa resterà e grazie a cosa?
L’argomento dell’infodemia è un argomento che mi fa particolarmente arrabbiare. Hai ragione quando parli di libertà d’espressione, ma qui la situazione ci sta letteralmente sfuggendo di mano. Per esempio, se potessi decidere io, multerei severamente tutti coloro che usano gli strumenti che abbiamo a disposizione per scrivere fake news. Non si deve fare, non adesso, non in questo momento.
Credo che quando i temi sono così delicati bisognerebbe usare la stessa delicatezza per esprimerli e questa delicatezza la può avere solo chi il tema in questione lo conosce molto bene. Siamo in un periodo di emergenza e il linguaggio, in questo momento, dovrebbe rispecchiare informazioni attendibili e precise, ma qui subentra il vero scoglio della questione: in questo oceano di informazioni da cui siamo quotidianamente bombardati quali sono le fonti attendibili e precise? E le fonti che riteniamo attendibili e precise, sono veramente attendibili e precise? Per rispondere alla tua domanda, credo che tutta questa comunicazione, ad un certo punto, imploderà perché le persone avranno gli strumenti per difendersi, spero.