Cosa sapete di Sergio Padovani?
Nell’ultimo anno ha inaugurato una mostra personale dopo l’altra e ha partecipato con successo a fiere ed esposizioni in giro per il paese: eppure a Modena ancora poche persone conoscono il suo lavoro.
Sergio vive e lavora a Modena. Nasce come musicista, per poi trasformarsi in artista, senza mai abbandonare veramente la musica, che è ancora una sua grande passione. Io l’ho conosciuto circa 10 anni fa all’epoca di una delle sue prime mostre personali, alla Sala Truffaut di Modena: dal 2008 ad oggi ha esposto in mostre personali e collettive e ha partecipato a fiere d’arte in diverse parti d’Italia.
In principio ho sempre trovato il pubblico spaccato in 2 tra chi sussurrava “angosciante” e chi si innamorava a prima vista del suo quadro senza preoccuparsi troppo della litigata che avrebbe dovuto fare con la propria dolce metà, una volta a casa. Qualunque sia il tuo gusto personale in fatto di arte non si può dire che i quadri di Padovani, che ti piacciano o meno, non ti impressionino: arrivano diritti alla testa e non lasciano spazio all’indifferenza. Puoi essere un esperto d’arte, puoi non sapere cosa sia un quadro, puoi conoscere e vedere in lui dei riferimenti a Bosch, oppure leggerci dei nessi musicali; sicuramente non ho mai visto nessuno restare impassibile davanti a un suo quadro.
Al centro delle sue opere spesso primeggia la figura dell’uomo: un’umanità talvolta surreale e grottesca, a volte devastata e straziata, ma la verità è che spesso l’uomo dei suoi quadri ci somiglia, e il destino dei suoi piccoli grandi uomini e donne fa parte anche delle nostre vite. Di fondo io ho da sempre letto nei suoi quadri anche una grandissima ironia sulla sorte degli esseri umani, che può essere piccola e meschina o semplicemente vita, anche quando il soggetto ritratto è un santo o un eretico, come nella sua personale al Museo Diocesano di Imola, che ha chiuso i battenti a Gennaio 2018.
Guardando i tuoi quadri si capisce fin da subito che hai un gusto estetico ben determinato: da cosa prendi ispirazione?
Essenzialmente dalla mia fantasia che, in una sequenza fondamentale, viene “metabolizzata” dall’estetica quattrocentesca, in particolare quella fiamminga. La realizzazione del quadro, infatti, comprende lo studio dei materiali pittorici del ‘300/’400 che già da soli sviluppano la condizione ideale per arrivare al mio obiettivo: creare un’opera che, nel contesto contemporaneo, mantenga saldo il legame con il passato.
Come riesci a concentrarti sul lavoro? Hai già l’idea in mente di come sarà l’esito del quadro, oppure il risultato è sempre diverso da quello che ti aspettavi?
Non usando elementi esterni al quadro, tipo bozzetti, disegni preparatori o (peggio) fotografie ed elaborazioni digitali, il risultato finale è sempre diverso dall’insieme iniziale. Il quadro prende spesso forma definitiva dopo che l’incessante lavoro, definibile “senza guida”, trova improvvisamente un senso.
Il risultato della tua pittura è spesso definito “Gotico”, “dark”, “oscuro”, ma la realtà è che rispetto ai tuoi primi quadri c’è stato un cambiamento evidente, che ti ha portato all’uso del colore. Com’è successo? È stato un passaggio lento e graduale o, al contrario, improvviso?
Da sempre è bisogno dell’uomo racchiudere sotto una particolare denominazione qualunque esperienza, particolarmente quelle artistiche. Risulta, così, più facile non addentrarcisi. La verità è che non ho niente a che vedere con certe classificazioni: ogni pittore dovrebbe fare un quadro perché sente il bisogno interiore ed inarrestabile di farlo e non per rappresentare un genere. Nel mio caso ho sempre usato il colore ma semplicemente ho, nel corso del tempo, aumentato le possibilità cromatiche. Questo perché, se all’inizio raccontavo solo la figura umana e poi sono passato a descrivere il suo circostante, ora è venuto il momento di capire quali nuances ne costruiscono l’insieme funzionale. Quindi, tutto molto lento e graduale.
A proposito dei soggetti rappresentati nei tuoi quadri: ti sembra di rientrare in un determinato “stile” pittorico? Se sì, quale?
Ricollegandomi alla risposta precedente, non mi pongo la questione. Posso solo dire “figurativo”.
Torniamo un po’ indietro nel tempo… Raccontaci della tua prima mostra. Che ricordi hai di “Nessuna resurrezione per i bambini cattivi” alla Galleria Lo Sguardo dell’Altro e com’è cambiata la tua vita da allora?
Ricordo l’euforica sensazione del poter finalmente percepire il contatto del mio lavoro con la gente, bisogno imprescindibile di qualunque artista. E la meraviglia inaspettata delle prime vendite. Da allora tutto è cambiato: vivo totalmente nella pittura e il senso del dipingere è diventato molto più complicato e profondo, molto più legato al “percorso” e meno al singolo momento. Credo fermamente che dipingere sia un lavoro a cui immolarsi totalmente, chi non lo fa può ottenere solo soddisfazione economica. Null’altro.
Vivi e lavori a Modena e qui hai realizzato la tua prima personale. Hai un legame con questa terra? Oppure pensi che potresti lavorare in qualsiasi altra città?
Polemicamente potrei ribattere che forse Modena non ha un legame con me, visto che lavoro solamente al di fuori della mia città. Ma, in verità, ne sono contento: credo che un artista che si fossilizzi sul territorio di appartenenza limiti soprattutto la sperimentazione artistica e la possibilità di grandi incontri. Comunque, rispondendo più semplicemente alla tua domanda, pur mantenendo un legame con la mia città natale potrei lavorare ovunque. Cosa alla quale sto… lavorando.
Bene, in effetti non mi sembri una persona e nemmeno un artista “fossilizzato” sul suo territorio. Al di là del luogo in cui esponi, che sia una mostra o una fiera, a questo punto mi piacerebbe sapere quali sono le tue emozioni mentre dipingi e quali dopo aver dipinto.
Difficilissimo dirlo di quando dipingo, ogni singolo quadro devia in modo diverso le mie emozioni. Se ne devo sceglierne una che accomuna tutti è che mi sento molto “responsabile” di ogni pennellata.
Semplicissimo, invece, dirlo del dopo: finito un quadro mi sento assolutamente “deprivato” di qualcosa di grande ma assolutamente indefinibile. L’esposizione nelle gallerie mi vede concentrato sulla funzionalità del corpo unico della mostra. Riguardo le fiere, essendo un discorso che riguarda più il gallerista, non ci sono particolari condizioni emotive da parte mia.
A proposito delle fiere: quali sono stati i momenti più importanti della tua vita dal punto di vista artistico?
Invece di fare elenchi dal curriculum preferisco dire molto banalmente che i momenti più alti artisticamente sono coincisi con l’incontro (grazie al mio lavoro) con alcune persone.
Santi ed eretici sono stati tra le figure da te più declinate nelle opere d’arte del 2018: quali sono i tuoi progetti futuri?
Vero! Per il 2019 sto preparando esposizioni personali tra Milano e Bassano del Grappa, quest’ultima molto impegnativa. I soggetti saranno di diversa caratterizzazione.
A proposito di progetti futuri: i luoghi in cui esponi sono spesso, in maniera indissolubile, legati al tuo lavoro. Qual è il posto più particolare in cui hai realizzato una mostra?
Si, indissolubile. Mi fa piacere ricordare una torre del IX sec. o una bellissima e coraggiosissima galleria di arte contemporanea in un borgo del sud Italia, ma sto definendo in questi giorni una mostra in una chiesa che, sicuramente, visto il suo valore non solo religioso ma anche scientifico, risulta essere un luogo molto particolare per un’esposizione. Vedremo.
Per tutte le informazioni sui prossimi appuntamenti: www.sergiopadovani.it – facebook: Sergio Padovani.
Sul territorio di Modena Sergio sarà presente con una mostra collettiva al Palazzo Ducale di Pavullo tra aprile e maggio 2019 (la data è ancora in fase di definizione).