Così si descrive Fabio Nacchio sui suoi canali social, che contano ormai svariate migliaia di followers:

Vivo in Emilia, in un luogo non meglio precisato tra Modena e Bologna. Amante della MTB e incorreggibile gattaro, coltivo interesse particolare per la fotografia e il gnocco fritto.

Ma chi è Fabio Nacchio? 

Ciao, sono Fabio, e il mio coming-out avvenne quando avevo quattordici anni. In realtà, non lo preparai né provai ad immaginare cosa sarebbe successo dopo. Incoscienza adolescenziale? Chissà, non ricordo la data precisa, so solo che vivevamo ancora in montagna, fuori era una giornata piovosa e mentre ero al pc, papà alla tv e mamma a preparare la cena, mi alzai, andai in cucina, e dissi alla mamma:

“Mà, io ti devo dire una cosa”

E lei “Tanto lo so già cosa vuoi dirmi.”

Sorpreso, le risposi “cosa?”

“Vuoi i tortellini in brodo. Sì, ok”.

“Ehm, no. Cioè, sì, anche quelli, ma ti devo dire un’altra cosa. Sono gay. Non so se l’avevi capito, ma è così”.

“Sì, certo che l’avevo capito. Non ci vuole poi mica molto.”

“Perché, si vede?”

“No, però io sono tua madre e certe cose le capisco. Comunque, per me non è un problema. Dillo anche a tuo padre. Allora, questi tortellini li vuoi oppure no? Non chiuderti nella stanza altrimenti resti senza cena!”.

Le sorrisi, non solo per come aveva accolto la mia rivelazione, ma anche per i tortellini. Con papà fu uguale. Mi disse solo “Fabio, non ti devi fare problemi. Sii felice e attento sempre a quello che fai”, la sua solita raccomandazione.
Se credete che tutto fu più semplice, vi sbagliate.

Ci sbagliamo infatti se pensiamo sia stato semplice crescere nella piccola provincia e appartenere a quelle persone che qualcuno definisce “minoranza”. L’infanzia e l’adolescenza: momenti in cui spesso si scopre quanto può essere feroce la derisione e il pubblico dileggio. Le parole spifferate alle orecchie al tuo passaggio possono trasformarsi in tamburi incessanti nei tuoi pensieri. E non si riesce a farli zittire. E la violenza, anche quella fisica.  Ogni giorno, ancora in questo 2020, c’è chi per il proprio orientamento sessuale vive il senso di vergogna, accanimento, odio.

Ci riempiamo spesso la bocca della parola “diritto” quando purtroppo per molti è ancora un miraggio. E oggi parliamo del diritto di amare e di difenderlo. Difenderlo: questa è una delle missioni che l’Associazione Gay Lex si pone ogni giorno. Un’associazione di legali con l’obiettivo di difendere i diritti delle persone lesbiche, gay, trans, bisex e intersex. E Fabio Nacchio da qualche mese ne è il presidente, cresciuto fra Pavullo e Castelnuovo Rangone ha deciso di impegnarsi per provare a costruire un presente e un futuro diverso. Migliore. Affinché le cicatrici che lui dice di indossare – fuori e dentro – possano ridursi, per lui e tanti altri. Provare a seminare briciole di umanità, dignità e giustizia.

Nel 1959, Leo Lionni, artista poliglotta poliedrico e inafferrabile, scultore, pittore, grafico pubblicitario, incisore, illustratore, autore di volumi per l’infanzia indimenticabili, dà vita a quello che nel tempo si conferma uno dei suoi libri di maggior successo, un classico contro i pregiudizi e l’affermazione della propria identità dal titolo Piccolo blu e piccolo giallo. È la storia semplice e commovente di un’amicizia che supera le differenze e abbatte i pregiudizi adulti. Piccolo blu e piccolo giallo adorano giocare insieme. Ma quando si abbracciano diventano verdi e i loro genitori non li riconoscono più. Come far loro capire che sono sempre gli stessi? Ancora una volta basterà un abbraccio per sciogliere i pregiudizi e comprendere quanto importante sia mescolarsi, imparare, cambiare l’uno a contatto con l’altro per creare una nuova entità di più forte e più complessa.


Nascere in provincia, essere omossessuale. Ti va di raccontarmi i colori della tua infanzia e come l’hai dipinta e vissuta?
L’infanzia è passata via più o meno liscia, nel senso che non avevo contezza ancora di chi fossi e cosa volessi, anche se già mi rendevo conto di guardare con altri occhi la realtà a differenza, ad esempio, di come la guardavano i miei fratelli. Dai giochi ai cartoni, passando per il vestiario, e gli interessi, ad esempio, erano già diversi dai loro. Senza ricalcare stupidi cliché, avevo una natura diversa dalla loro che mi invitava spesso a riflettere senza però arrivare ad una conclusione. In fondo non era ancora arrivata l’ora di capire. Ma la mia fortuna, devo dirlo, è stata anche avere alle spalle una famiglia unita, intelligente, e aperta. Altrimenti chissà. Per il resto, non è stato facile perché la mia adolescenza l’ho vissuta in montagna, a Pavullo che, pur essendo una cittadina con molti servizi e non proprio isolata, senza generalizzare aveva e ha una mentalità chiusa e spesso gretta. Questo mi ha fatto soffrire a scuola e anche fuori da scuola perché pur non essendo ancora dichiarato, gli altri avevano percepito qualcosa di diverso in me. Forse perché non amavo fare a botte, non molestavo le ragazze, amavo starmene per i fatti miei. E questo per loro significava essere automaticamente gay. Quindi uno da umiliare, emarginare, anche picchiare. Certe cicatrici, pur essendo oggi adulto, non verranno mai via purtroppo.

Provare a costruire un futuro migliore, essere attivi e attori di questo presente e credere nella propria idea di mondo. Perché è importate battersi ogni giorno per la comunità?
È importante perché tutto si tiene insieme: battersi per i diritti civili non significa solo essere a favore della tutela di certe ‘minoranze’ ma onorare la Costituzione repubblicana e costruire una società dove tutti sono sullo stesso piano e nessuno rimane indietro. E se tutti siamo sullo stesso piano, quella comunità è senz’altro più capace di restare coesa e sicura. Oggi questo impegno è diventato ancora più importante perché odio, violenza, discriminazioni si sono fatte paradossalmente più diffuse e pesanti. Molti non si vergognano più di essere razzisti, omofobi, sessisti. Anzi, è diventato quasi un vanto. E questo mette a rischio non solo le vittime di queste discriminazioni, ma la tenuta stessa della democrazia.

Gay Lex è uno studio che offre un servizio legale interamente dedicato alle persone gay, lesbiche, transessuali, intersessuali e bisessuali. Da qualche settimana ne sei diventato presidente. Come sei arrivato qui e cosa significa per te?
Innanzitutto per me è stata una sorpresa e un onore poter guidare questa associazione nata dalla passione e dal forte desiderio di giustizia del sottoscritto, ma anche e soprattutto quello di Cathy La Torre e Michele Giarratano. Che non sono solo due ottimi avvocati, ma due persone meravigliose di cui mi onoro essere amico.
Ciò detto, per me significa avere ulteriori responsabilità nella lotta al contrasto delle discriminazioni e metterci ancora di più la faccia. Ma questo non mi spaventa, anzi: ho molto da dare e potermi occupare da vicino di temi che non riguardano solo la mia vita ma quella di tante altre persone significa poter crescere umanamente e poter migliorare, nel proprio piccolo, il mondo.
Vorrei rimarcare il concetto di “metterci la faccia”: abbiamo sempre più bisogno di persone che ci mettano la faccia, che prendano posizione, che non siano indifferenti. E non importa se certe battaglie non ti riguardano personalmente: è dalla tutela dei più deboli che si nota la qualità di una democrazia.

Quali passi avanti ci sono stati negli ultimi anni e quali secondo te sono ancora da fare nell’ambito della realtà Lgbt?
Abbiamo ottenuto una legge sulle unioni civili che ha consentito e consente a molte persone di potersi unire e celebrare i propri affetti e anche di mettere al sicuro la propria famiglia. E in Emilia-Romagna, ad esempio, abbiamo ottenuto – non senza fatica – una legge contro l’omotransnegatività che tanto potrà fare per tutelare le persone LGBTQ+. Ma non basta, andrà rafforzata nella prossima consiliatura. E non basta la legge sulle unioni civili: serve un unico statuto matrimoniale come c’è in Francia e in altri Paesi UE. Serve una legge che tuteli le famiglie arcobaleno e i bambini; e abbiamo un disperato bisogno di una legge contro l’omobitransfobia che si occupi non solo di punire chi si macchia di violenze o discriminazioni omotransfobiche, ma che faccia campagne serie di sensibilizzazione contro le discriminazioni di genere e di orientamento sessuale. Senza una cultura accogliente e matura, la repressione serve a poco.

 


 

Già, serve ancora tanto. Ed in questa intervista volevo raccontarvi di come nella piccola provincia c’è chi, nell’anonimato del presente, prova a coltivare radici complesse di dignità. Identità.
La realtà LGBTQ+ è una di queste.
Fabio è uno di questi.
Dare voce a chi la voce non l’ha e metterci la faccia, sempre.
Dare voce e ascolto, perché non siamo soli.

Concludo lasciandovi con le parole che Fabio scrisse lo scorso maggio in occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia.

Per tutte le volte che mi sono preso sputi, calci, schiaffi.
Per tutte le volte che sono stato deriso, escluso, umiliato.
Per tutte le volte che “no, tu con noi no. Stai con le femmine”
Per tutte le volte che “Io con le femmine? Mica mi offendo”
Per tutte le volte che ho pensato “ma ne vale la pena? No…”
Per tutte le volte che ho pensato “ma ne vale la pena? Cazzo, sì!”
Per tutte le volte che “ma perché? Perché devo subire questo? Forse è destino”
Per tutte le volte che “no, io non devo subire questo: mi ribello!”
Per tutte le volte che odia vo tutti e volevo solo sparire.
Per tutte le volte che invece l’orgoglio aveva la meglio e a sparire erano loro davanti alla mia forza, tenacia, irridente ironia.
Per tutte le volte che mi sono sentito dare del “malato” del “deviato” del “disgustoso”.
Per tutte le volte che sono stato circondato da un amore più grande di me e di quanto meritassi.
Per tutte le volte che, ancora oggi, mi guardo indietro a vedere quanta strada ho fatto, spesso da solo, e cosa mi aspetta davanti. E cammino a testa alta, di fronte a tutti.
Certe ferite sono ancora riempite dal dolore e forse non guariranno. Altre, invece, sono state guarite dall’amore: la forza più invincibile che c’è.
Oggi è la Giornata in cui si ricorda che il 17/5/1990 (avevo 2 anni) l’OMS cancellava dall’elenco delle malattie mentali l’omosessualità; il giorno in cui quelli/e come me furono finalmente considerati PERSONE, non scherzi della natura da internare, curare, sfottere.
Orgogliosamente diverso, naturalmente uguale. Sempre.