Alessandro Gibellini è quello che senza timore mi sento di definire una personalità geniale. Un ragazzo giovane, composto e piuttosto pacato, misurato, che si accende e illumina di intelligenza viva quando parla delle sue macchine fotografiche. Alessandro costruisce banchi ottici e si definisce proprio così: un costruttore di macchine fotografiche per fotografi.
Nasce nel 1990, vive a Nonantola e durante gli studi universitari in Ingegneria si fa affascinare dal mondo della fotografia digitale e in pellicola, dalla camera oscura e dai diversi processi di stampa.
È il 2013 quando decide di costruirsi da solo un banco ottico, formato 4×5, perché acquistarne uno era in realtà parecchio costoso e perché in fondo forse già l’idea di progettare e costruire da sé la sua macchina lo stuzzicava più che acquistarne una. Ispirato anche dal nonno, amante del lavoro manuale e della piccola falegnameria, Alessandro progetta e costruisce, interamente da solo e da zero, quello che possiamo definire il primo prototipo in legno di quelle che oggi sono le sue famose Gibellini folding camera. Da lì in poi le cose si muovono in maniera piuttosto rapida, Alessandro condivide online il suo lavoro e subito arrivano le prime richieste da svariati acquirenti.
La cosa che stupisce e affascina è come Alessandro oggi si ricordi e parli di quasi ciascuna delle innumerevoli macchine fotografiche monorail che ha costruito dal 2014 in poi, le differenze nelle personalizzazioni per i diversi clienti, le continue e costanti migliorie ed evoluzioni delle sue creazioni, frutto di una tensione continua nella ricerca dei materiali, dei meccanismi e dei dettagli.
Nel 2015 Alessandro vince il primo premio per il settore meccanico al concorso “Imprenditorialità a Modena” e sposta il suo laboratorio dal garage di casa ad uno spazio più grande, un loft di 300 mt quadri a Sassuolo, che sarà sede della sua Gibellini Projects .
Questo fino al 2017, anno in cui intraprende la collaborazione con la SAU Spa, importante azienda nel settore della metalmeccanica di precisione con sede a Polinago, che crea e gli affida il nuovo reparto “Lusso, Ricerca e Stile”, sua attuale sede lavorativa. Oggi infatti Alessandro dirige da Polinago la sua Gibellini Projects, così come il nuovo reparto creato un po’ a sua misura dalla SAU, continuando la sua ricerca della perfezione, aiutato anche da un team di professionisti esperti e da tecnologie estremamente all’avanguardia.
Abbiamo avuto sia la fortuna di visitare la sede operativa a Polinago che quella di incontrarlo di persona nel suo studio a Nonantola.
Rimane davvero impresso il suo continuo movimento, la totale e appassionata dedizione alla progettazione, la cura e l’estrema curiosità, che trasformano qualsiasi suggestione esterna in un input creativo. Come ad esempio i diversi prototipi di impugnature costruite a partire da un ciottolo raccolto sulla spiaggia, che Alessandro ci mostra, raccontandoci il suo personale approccio con il progetto e la ricerca, contagiandoci con la sua trascinante attenzione al dettaglio e alla meccanica.
Oggi i suoi banchi ottici sono costruiti con diversi materiali d’eccellenza, come la fibra di carbonio, il titanio e l’alluminio, e sono utilizzati e acquistati da alcuni dei più grandi nomi della fotografia moderna, italiani e non. Per questo abbiamo voluto fare due chiacchiere con lui per capire cosa c’è dietro e dentro il suo lavoro, e cos’è per lui oggi la fotografia.
Durante un’intervista hai detto “Attraverso i miei esperimenti ho capito cos’è la Fotografia e cos’è una macchina fotografica”. Che cos’è quindi per te la Fotografia oggi?
La fotografia secondo me è immortalare un’idea, qualcosa che uno porta dentro, che vuole esprimere. Io immortalo questo momento perché esprime una determinata sensazione. Il motivo può anche essere dato dal fatto che mi pagano per farlo, però deve comunque esserci qualcosa che mi smuove dentro per scattare una fotografia. Ad esempio: se faccio un reportage è perché voglio raccontare una situazione legata alla società attuale o a determinati momenti storici. Se invece faccio una fotografia di Architettura è per dimostrare cosa di bello ha costruito l’uomo attraverso un rigore tecnico.
Il banco ottico in questo aiuta molto perché ti “obbliga” a riflettere su ciò che stai facendo.
Ti senti ancora un fotografo?
Non mi sono mai sentito fotografo, il mio lavoro è fare macchine fotografiche per fotografi. So come si scatta una foto, mi piace, però lascio fare il lavoro dei fotografi ai fotografi. Nel mio caso sono sempre stato attratto dalla ricerca meccanica e da come perfezionare il prodotto. Ho lavorato molto in camera oscura e so come funziona il procedimento, dalla fase di scatto alla stampa finale, ma ad un certo punto mi sono ritrovato a dover scegliere quale strada prendere. Ho scelto di fare macchine fotografiche puntando sulla ricerca, per realizzare le migliori macchine del mondo, sfruttando le conoscenze in campo meccanico che la zona di Modena ci può dare.
Crescere nella terra dei motori ha influito sullo sviluppo e la ricerca dei tuoi prodotti?
Assolutamente. Penso che la Gibellini s.r.l. non sarebbe mai potuta nascere in un altro posto. È stato più semplice per esempio trovare aziende in grado di fare lavorazioni meccaniche di precisione. Ovviamente si possono trovare anche in altre parti d’Italia, ma qui la concentrazione è maggiore e questo ha aiutato molto nella fase di sviluppo del progetto.
Lo sviluppo tecnico e la qualità dell’immagine delle moderne macchine digitali ha raggiunto traguardi impensabili fino a qualche anno fa. Tu hai però scelto di andare controcorrente e proporre un modo di fare fotografia in antitesi con la fotografia “fast-food” degli smartphone. Quali sono i punti di forza della fotografia scattata attraverso un banco ottico rispetto al digitale e come immagini la convivenza tra questi due approcci in futuro?
Io li vedo come due mondi paralleli, che non si fanno guerra tra loro. Lo smartphone è molto comodo, puoi andare in giro a scattare fotografie con una macchina potente, ma il limite è che spesso gli scatti rimangono al suo interno, o al massimo vengono custoditi in qualche hard disk, mentre la fotografia nasce per essere stampata.
Quando guardiamo le foto di quando eravamo piccoli ci scaturiscono dei ricordi. Raramente andremo invece a rivedere vecchie foto digitali sui nostri smartphone e comunque non ci trasmetterebbero le stesse emozioni. Possiamo quindi scattare dei ricordi ma non è la Fotografia intesa come un progetto. Non ci si chiede: “Perché sto fotografando?”.
Questo invece il grande formato te lo consente, per ogni foto è necessario un rituale per preparare tutti i componenti allo scatto. Dopo aver deciso con cura l’inquadratura, ed il perché lo si sta facendo, si riesce ad ottenere una foto meditata.
So che c’è un ottimo rapporto tra te ed il fotografo Massimo Vitali, come vi siete conosciuti? Ti è stato di aiuto per lo sviluppo di nuovi modelli?
Un giorno mi arrivò una telefonata: “Buongiorno, sono il fotografo Massimo Vitali, ho visto le sue macchine e vorrei prenderne una”.
A seguito di quella telefonata ci siamo visti e sentiti varie volte, ed è nato anche un rapporto di amicizia. Aveva richiesto il modello 11×14, che non è presente tra quelli a catalogo, è quindi stato necessario costruire un prodotto su misura.
Gli abbiamo consegnato un primo modello che poi è stato sostituito con una nuova versione. C’è stato molto dibattito su come lo avrebbe voluto, gli interessava un modello particolarmente leggero ma stabile e preciso. Dopo avergli fatto provare alcuni modelli ha scelto quello che più gli piaceva e che si adattava alle sue esigenze.
Avete costruito un modello custom anche per un progetto del fotografo Settimio Benedusi. Ci vuoi raccontare com’è andata?
Esatto, per Settimio abbiamo costruito una 16×20. Settimio lo conoscevo già da vario tempo e un giorno mi chiese di incontrarlo a Milano per parlarmi di un progetto.
L’idea era quella di andare ad Imperia, sua città natale, per fotografare il mare su una pellicola 16×20, posizionando la linea dell’orizzonte con l’esatta proporzione aurea rispetto al fotogramma. Il team era composto oltre che da me, il mio ex socio e Settimio anche dallo stampatore Giancarlo Vaiarelli.
Abbiamo impostato la macchina su un secondo piano che affacciava sul mare ed abbiamo iniziato ad eseguire i calcoli necessari per inquadrare sia il mare che il cielo con le corrette proporzioni. Appena però riuscivamo ad impostare l’inquadratura corretta, calcolare i tempi di esposizione e regolare la messa a fuoco, passava una nave all’orizzonte che per percorrere l’intero fotogramma impiegava circa 3 ore e ci costringeva ad attendere.
Lui voleva delle foto in cui il mare non risultasse mosso e in cui ci fossero molte nuvole in cielo. Ovviamente quel giorno però non c’erano nuvole, quindi ci è venuta l’idea di eseguire diverse esposizioni. Per produrre una sola foto sono state necessarie 128 esposizioni sulla stessa lastra, consentendoci di ottenere il mare increspato e denso, così che Vaiarelli potesse fare un’ottima stampa al platino-palladio. Per farlo bisognava essere velocissimi ed assicurarsi che la macchina non si muovesse mai. In 3 giorni siamo riusciti ad ottenere 3 negativi, le stampe al platino sono poi state esposte nel 2016 al MIA Photo Fair di Milano.
È stato molto divertente.
In soli 7 anni siete riusciti a creare dei prodotti che oggi vengono definiti dagli appassionati come le “Pagani” dei banchi ottici. Dove vedi la tua azienda nei prossimi 10 anni e quali sono le vostre prossime sfide?
Mi piacerebbe molto realizzare il primo banco ottico 8 x 10 completamente elettronico e controllabile tramite App. Immagino una macchina folding in carbonio che si apra da sola tramite un comando del mio smartphone e che si sistemi già nella posizione pre-impostata in base alla lunghezza focale della lente. Rendendo tutto molto più fruibile e fornendo all’utente diverse informazioni come ad esempio la lunghezza focale che si sta utilizzando, i tempi dell’otturatore, la posizione della messa a fuoco, ecc.
Inoltre, abbiamo già in fase di progettazione una mirrorless medio formato grazie alla quale sarà possibile utilizzare diversi dorsi digitali.