Un’immagine è una rappresentazione visiva, non solida, della realtà. Può rappresentare la realtà fisica, in modo più o meno realistico, oppure una realtà fittizia o astratta. Questo è ciò che risulta nella ricerca della sua definizione.
E quindi cos’è un’immagine?
Un insieme frammentato di megapixel disordinati capace di secernere stupore, ricordi, interesse o ancora repulsione e sgomento dai nostri occhi? Le immagini bucano lo schermo dei nostri dispostivi elettronici milioni di miliardi di volte al giorno, ma ci trasmettono la realtà o semplicemente ciò che ci aspettiamo di vedere da essa?
L’immagine colpisce il nostro sguardo come il migliore degli amanti, ne rimaniamo costantemente affascinati, catturati dalle linee e dagli angoli della sua modesta ma infinita realtà che non senza invadenza plasma la nostra. Per comprenderne l’influenza basta osservare l’importanza della fotografia, sposa fedele all’imago, che della storia ha carpito i momenti salienti consegnandoli all’immortalità.
Per restare coi piedi ben piantati nel presente, c’è la piattaforma social di Instagram che ci rammenta quanto l’occhio faccia la sua parte, con scopi più o meno nobili. Proprio affidandomi a quest’ultima versione fittizia della realtà di oggi, abbiamo parlato con Michele di “Robe Artistiche” che con la sua pagina di oltre 10.000 followers, sviluppata nel breve arco di tempo intercorso tra il lockdown di marzo e oggi, ha fatto delle immagini il suo successo e il suo biglietto da visita, accostandone diverse tra loro, apparentemente contrastanti e contrapposte ma sostenitrici di un filo conduttore comune, entrando in un’immagine per finire nell’altra. E la domanda è: le immagini parlano più delle parole stesse?
Il 25 novembre 2020 muore Diego Armando Maradona, icona del mondo del calcio, e tu, tempestivamente, pubblichi un tuo lavoro riportante il viso dell’atleta accostato a quello di un altro, Che Guevara. Il post è diventato subito virale tanto da realizzarsi in un tatuaggio sulla pelle di qualcuno che, a quanto pare, ha particolarmente apprezzato .
Come mai, a tuo parere, un’immagine oggigiorno, dove grazie alla tecnologia e alla multimedialità ne siamo costantemente bombardati, abbia ancora tutta questa importanza e questo potere?
Resta, l’immagine, il veicolo più diretto di un messaggio, di un’idea?
La famosa frase di Andy Warhol recita: “Nel futuro avremo tutti quindici minuti di notorietà”. È emblematica in quanto indica un tempo prettamente breve ed è questo, secondo me, il caso.
Noi siamo il futuro di cui parlava Andy Warhol: se hai la fortuna di trovarti nel tempo giusto, al momento giusto, con la cosa giusta riesci a raggiungere quel minimo di notorietà, anche se limitata, diventando, appunto virale, famoso, non tanto io quanto il mio lavoro ed è per questo che ha avuto successo.
Perché una persona è arrivata a tatuarselo? Proponendo due personaggi così carismatici che hanno influenzato storicamente la nostra epoca, il risultato può avere un responso molto positivo come in questo caso, ma altrettanto negativo.
Non penso che l’immagine sia il veicolo più diretto per esprimere un’idea. Questo è il mio. Sono convinto che ognuno di noi abbia qualcosa da esprimere, il problema di solito sta nell’essere capaci di farlo. Penso che ogni idea abbia il proprio modo di essere espressa ma, specialmente, ogni persona ha il suo modo di esprimerla. Se la mia idea è arrivata così forte è perché appunto sono riuscito a trasmettere esattamente quello che sentivo attraverso un mezzo di comunicazione che è l’immagine.
Non siamo bombardati di immagini nel 2020 grazie ad internet. Siamo bombardati di tutto. Ciò che passa, a mio parere, sono le idee, positive o negative che siano. Quello che riesce a passare è sempre l’idea. Poi, ovvio, l’immagine cattura prima l’occhio perché portatrice di un messaggio ed è quello l’attore principale.
Da dove lo spunto per questo tuo lavoro che hai intitolato Revolutionary Icons?
L’ispirazione può essere tratta o direttamente dal messaggio che voglio mandare, quindi ricerco due immagini da accorpare per riuscire nello scopo, oppure vedo un’immagine e automaticamente l’associo a qualcosa: i lavori che diventano i migliori sono quelli che si distinguono per un’associazione di immagini e contemporaneamente conservano un messaggio intrinseco.
Nelle immagini che ho scelto i due volti erano talmente simili che ho deciso di sovrapporli. Argentini, entrambi hanno avuto una grande influenza sulla popolazione sudamericana, risvegliandone gli animi. Qui, quindi, è stata prima l’immagine a colpirmi per veicolare poi un messaggio.
Il tuo lavoro quindi riporta due leggende, due ideali. La foto cattura l’umanità e la rende immortale: quegli attimi e quelle persone non moriranno mai, diventeranno, appunto, leggende.
Questa è, secondo te, un’altra funzione principale dell’immagine? Regalare l’immortalità?
No, non c’è niente di immortale.
Sicuramente l’immagine non può rendere immortali, può essere semplicemente uno strumento di aiuto e supporto. Se non c’è un’idea o un concetto dietro, una foto può diventare famosa e resistere tanto tempo ma a lungo andare perde la sua immortalità fittizia. La didascalia che posto sotto questo mio lavoro è “Legends never die”: le leggende non muoiono mai, non le immagini.
L’idea non muore mai.
Cosa fa di una persona una leggenda? Questo a discapito dell’aspetto morale della sua vita?
La morte di Maradona ha fatto scaturire pareri contrastanti inerenti questo tema. Quando i grandi muoiono, diventano ancora più grandi, quasi santificati.
Bisogna scindere le due cose anche se non lo sembrano, scindibili. Ci sono due filosofie di pensiero: una afferma che non si possa separare la persona da ciò che rappresentava e, in questo caso, nonostante le cose positive fatte non si può evitare un giudizio negativo se giustificato; l’altra si propone difensore dell’assunto che siamo tutti essere umani e tutti sbagliamo, in un modo o nell’altro e Maradona sicuramente era nella condizione più favorevole per farlo. Questo discorso vale per entrambi, come per Maradona così per Che Guevara.
Io sostengo di più quest’ultima idea: bisogna scindere la persona da ciò che rappresentava perché umanamente hanno commesso degli errori, è vero, però è più importante quello che hanno rappresentato, che non era assolutamente negativo.
Il tuo lavoro è iniziato durante il lockdown di marzo ma hai già raggiunto e superato i 10.000 followers: corre l’immagine più della parola?
In un momento in cui non si poteva uscire di casa, pensi che la fotografia abbia rivestito un ruolo così importante? Rispecchia parte del tuo successo?
Penso di aver avuto la fortuna di aver fatto lavori che son piaciuti fino a ora. Non penso il mio successo sia dovuto al periodo. La maggior parte dei miei followers sono ragazzi, in una fascia compresa tra i venti e i trentacinque anni. Donne e uomini, senza distinzione. Abbiamo vissuto e stiamo vivendo un periodo in cui siamo molto allontanati dall’arte, a cui l’uomo di natura è portato. Nel film L’attimo fuggente (Dead Poets’ Society), Robin Williams dice: “Medicina, legge, economia, ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro sostentamento. Ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l’amore, sono queste le cose che ci tengono in vita.” L’arte in questo periodo è stata trascurata perchè il nostro interesse è stato indirizzato a cose ritenute più fondamentali. Col mio lavoro sono riuscito ad accostare immagini contemporanee all’arte anche più classica, avvicinando in questo modo anche i più giovani.
L’etimologia della parola “immagine” trae origine dal latino “imago” che significa sogno, concetto, apparenza, ricordo, riflesso, paragone, allucinazione… Allo stesso modo ne deriva “immaginazione”: la nostra si nutre di immagini, le stesse che la stimolano.
Sono le immagini che nascono dall’immaginazione o è quest’ultima a nascere dalle immagini?
È l’immaginazione a stimolare le nostre immagini.
A un certo punto diventa un ciclo perché la nostra immaginazione viene influenzata non solo dalle immagini ma da tantissime altre cose, anche se ovviamente, le prime rendono più fruibile l’accesso alla nostra di immaginazione e al suo elaborato. Le immagini più intense che custodiamo dentro di noi non derivano da immagini vere e proprie ma da sentimenti.
Usiamo le immagini per uscire dalla realtà e andare al di là di questa?
La questione principale è definire cosa sia reale e cosa non lo sia e, da qui, la nostra concezione di realtà. È difficile rispondere.
È un sistema di vasi comunicanti che s’influenza a vicenda. Durante il lockdown le immagini ci sono servite per viaggiare con la mente oltre i confini di casa, in un momento in cui non si poteva farlo in nessun modo. A mio parere, è tutto collegato. È il principio su cui si basa il mio intero lavoro. Utilizziamo le immagini per uscire dalla realtà ma anche per crearla. Tutto si influenza, non esistono due poli opposti.
Il mondo non è bianco o nero ma grigio. Sicuramente in questo periodo le immagini, nel mio caso, sono state utilizzate per fugare la realtà.
Michele ci ha fornito uno spaccato sul principio universale su cui ruota il suo lavoro, fotografia del suo immaginario.