Max Cavallari è un giovane fotografo – giornalista per l’Ansa Emilia Romagna, vive e lavora a Bologna. Il suo campo d’indagine riguarda tematiche che vedono l’essere umano a confronto con ciò che gli sta intorno, con una costante attenzione all’immigrazione, all’ambiente e alle tecnologie. Attualmente collabora con testate giornalistiche e riviste, italiane e internazionali, è il fotografo ufficiale della Fondazione ANT Italia Onlus.
Piove sul bagnato, modo di dire abbastanza comune nel bel paese che va a riprendere l’espressione di Pascoli “Piove sul bagnato: lagrime su sangue, sangue su lagrime”. Il Poeta in questo estratto sottolinea come le disgrazie non vengano mai da sole.
Esiste un pesante sottile filo rosso che unisce consumismo, sfruttamento di terre, immigrazione in un groviglio tossico non più sostenibile.
Il pianeta ha più di quattro miliardi di anni, l’homo sapiens fra i duecento e trecento mila.
Già solo per il diritto di anzianità il confronto è impietoso se poi si pensa che in termini di biomassa, rappresentiamo appena lo 0,01% di tutti gli esseri viventi, se pensiamo che virus e vermi pesano più di noi, capiamo che il “nostro” pianeta può continuare a vivere tranquillamente senza di noi.
Eppure l’impatto che abbiamo sulle altre forme di vita e su noi stessi è il più pesante, come pesanti e drammaticamente attuali sono oggi le parole di Frantz Fanon che in Les damnés de la terre descrive le città dei coloni come città di cemento, tutte di pietra e di ferro, illuminate, asfaltate, in cui i secchi della spazzatura traboccano sempre di avanzi sconosciuti, mai visti, nemmeno sognati.
Racconta di culture negate, di religioni imposte descrivendo lucidamente le derive del nazionalismo e i paradossi del post colonialismo.
Questi scritti risalgono al 1961; oggi a sessant’anni di distanza quanto e cosa è cambiato?
Partendo dalle foto di Max, che come fotogiornalista si ritrova in contesti strettamente legati a quel filo rosso che va a inscrivere alcuni degli scenari più rappresentativi e controversi della nostra epoca, ci spostiamo dall’Italia di Ventimiglia alle camere degli abbracci nelle RSA, ai wet market cinesi fino ai retaggi cristiani nella celebrazione della Easter Procession in Colombia.
Dalla chiacchierata con il fotografo emerge l’impatto che i media e le narrazioni sensazionalistiche hanno sull’opinione pubblica che è sempre più con una mano sugli occhi e l’altra tesa a indicare il prossimo.
Ciao Max, i tuoi lavori documentano l’essere umano in relazione al suo contesto.
Nella tua biografia si legge che immigrazione, ambiente e tecnologia sono i tuoi campi di interesse. Tre tematiche diverse ma unite da un, neanche troppo sottile, filo rosso.
L’essere umano a differenza degli altri esseri viventi è l’unico che ha la capacità di modificare l’ambiente o la presunzione di poterlo fare.
Crea un sistema per se stesso, a suo vantaggio finché poi questo non collassa travolgendolo.
Comunque si, negli anni ho capito che l’essere umano è ciò che mi interessa, farei fatica a fotografare altro, è una consapevolezza nata anche grazie al mio lavoro di fotografia giornalistica.
Dalle colonizzazioni di terre ricche di risorse, alla privatizzazione delle concessioni del possesso di queste stesse risorse cos’è cambiato? Per fare un esempio l’uranio del Niger e della Repubblica Centroafricana, il petrolio del Gabon e del Ciad, i metalli della Guinea Conakry.
La differenza è sostanzialmente strutturale, poco e niente è cambiato, Il concetto stesso di società come lo intendiamo noi oggi prevede che la via più semplice sia la disparità.
Il fatto che non lo vogliamo vedere è perché non è una bella ammissione.
Il fenomeno migratorio per definizione consiste nello spostamento di esseri viventi, perlopiù in gruppo, da un’area geografica a un’altra. Questo spostamento è determinato da mutamenti delle condizioni che rendono il luogo in cui si vive ostile, inducendo così una ricerca di migliori condizioni di vita vere o presunte. Umani, animali si spostano, diversi contesti, diverse le cause, o forse neanche troppo?
È paradossale, noi abbiamo la capacità di modificare l’ambiente, il pianeta ma banalmente non abbiamo una gran capacità di adattamento.
L’immigrazione viene percepita come un fenomeno negativo perché il fenomeno si scontra su un tipo di società che non riesce a gestirlo perché fa fatica ad adattarsi ai cambiamenti vedendoli come qualcosa di estraneo.
La migrazione è uno dei fenomeni storicamente più antichi e naturali ma purtroppo è stata e viene tutt’ora utilizzato come strumento politico.
La cassa di risonanza di un certo tipo di comunicazione poi non aiuta, ad esempio, quella televisiva entra a gamba tesa nel pensiero, nella percezione italiana dando una visione delle cose non reale, sensazionalistica.
Nel 2019, da Gennaio a Maggio sei andato nel sud della Cina a Kunming, tra i vari scatti saltano all’occhio i tanto discussi wet market, ce ne vuoi parlare?
Si, sono andato a Kunming nella zona Yunnan, in cui si trovano ancora popolazioni autoctone: un luogo molto bello.
I wet market sono sempre esistiti e resteranno anche dopo l’epidemia.
La visione che ci hanno inculcato i media di wet market come causa unica di Virus è una visione sensazionalistica.
Questo è un tipo di mercato che puoi vedere in tante parti del mondo, sono mercati in cui si vendono animali vivi e morti, non bisogna andare fino in Cina per vederli, ci sono anche da noi.
Hanno metodi di far vedere i loro prodotti in maniera diversa, per questo le immagini sono molto impattanti ma questo è legato alla loro tradizione di far vedere quello che poi mangi.
Condizioni igienico sanitarie che permettono la diffusione di virus ne troviamo anche qui nei paesi occidentali solo noi non ne parliamo e non lo mostriamo.
Un po’ le politiche occidentali degli allevamenti intensivi à la “occhio non vede cuore non duole”.
Ah beh, certo. Sto lavorando a un nuovo progetto legato alle tematiche alimentari sul Novel food.
Sperimentazione di allevamenti di grilli dieta a base di insetti o carni biologiche create in laboratorio: tutto quello che è un punto di vista alternativo della alimentazione.
Banalmente il progetto nasce dalla domanda: “cosa ha creato il novel food” quindi sono partito proprio dagli allevamenti intensivi di polli maiali, mucche da cui proviene il 90 percento della carne che mangiamo e di conseguenza da tutto quello che viene nascosto, che non vediamo sullo stato in cui sono gli animali e sulla lavorazione della carne.
Io non sono vegetariano o vegano; con questo progetto sto sensibilizzando prima di tutti me stesso.
Il sistema di avere sempre così tanta carne, pesce, prodotti derivati da origine animali a un costo basso per tutti non è più sostenibile perché il costo basso ha un altro costo che stiamo già pagando tutti.
Oltre a non esser consapevoli dell’effettiva “qualità” dei prodotti che ingeriamo questo tipo di comunicazione ci sta de-responsabilizzando da quello che siamo veramente.
Per l’Ansa sei andato dentro le R.S.A. Italiane in un momento estremamente delicato per il sistema sanitario nazionale e non. In quell’occasione hai realizzato uno scatto davvero molto bello.
Si, nel contesto del covid una delle tematiche che era sicuramente da affrontare era proprio quella delle Rsa.
La questione è stata presa sottogamba, sono diventati dei focolai molto importanti che in parte come sappiamo hanno cercato di tenere nascosti, Bologna è solo uno dei tanti esempi.
Sono andato a Castelfranco Veneto perché è stato uno dei primi ospedali a creare le camere degli abbracci che hanno trovato una soluzione per persone che da mesi si ritrovavano sole senza il minimo contatto fisico.
Grazie alle camere degli abbracci si è reso possibile l’impossibile.
“A peste, fame et bello nos Domine”: Signore liberaci dalla malattia, dalla fame e dalla guerra. Le fonti ci dicono che questa scritta imperava nell’occidente Cristiano già dal 1300 nel pieno della peste nera.
Se nel 1300 le persone invocavano il Signore per salvarci dalle pestilenze forse dopo più di 700 anni, guerre e pandemie bisognerebbe chiedersi se è la persona giusta a cui affidarsi.
Nel tuo reportage a Ventimiglia c’è uno scatto che immortala tracce tatuate da icone religiose. Che storia hanno quei tatuaggi?
Si, loro sono ragazzi eritrei cristiani ortodossi. Nel vedere i loro tatuaggi ho pensato alla paura che in tanti hanno di essere invasi da altre religioni, quando poi spesso la religione è la stessa.
Parlando con loro mi hanno detto che in Eritrea più del 42% della popolazione segue il cristianesimo.
Le religioni spesso vengono importate senza che nessuno le abbia chieste in posti che hanno già i loro bei problemi.
Vengono importate anche in posti in cui hanno già religioni. A tal proposito, in Colombia, nel 2017 hai documentato la Easter Procession, ti va di parlarcene?
Mi ritrovavo a Pasqua nel nord della Colombia, in una città in cui non avevo gran aspettative di raccontare chissà cosa, è molto tranquilla. Un po’ la Madrid Colombiana.
In quel quartiere ci vediamo passare questa processione.
Non ho voluto raccontare la Via Crucis in sé, piuttosto quel piccolo paese che ha fatto sua questa usanza con uno spirito di condivisione e folklore molto belli.
In questa piccola realtà di teatro in cui venivano interpretati vari personaggi della Via Crucis, i proprietari delle case davano ospitalità e accesso a tutti i passanti.
In generale nel mio lavoro non mi interesso di religioni, per me sono tutte uguali, mi interesso piuttosto delle culture e delle tradizioni quindi inevitabilmente si ritrovano le religioni.
La possibilità costante di reperire informazioni h24 non va di pari passo con l’informazione. Una recente ricerca di Ipsos ha analizzato il livello di “dispercezione”, una sorta di ricezione distorta della realtà; l’Italia risulta ai primi posti.
La tecnologia secondo me tende ad essere sempre più avanti rispetto alla società,
questo crea un gap tra le tecnologie e le persone perché non tutti hanno gli strumenti per utilizzarle in maniera ottimale. Negli ultimi trent’anni la capacità di comprendere il testo scritto è diminuita, dando vita a quel fenomeno che oggi chiamiamo analfabetismo funzionale.