Atlanti, ritratti e altre storie è la mostra proposta da Palazzo Magnani nella sede di Palazzo da Mosto a Reggio Emilia, dal 10 febbraio al 26 marzo 2021, che offre la possibilità di conoscere i progetti di sei giovani fotografi selezionati dall’Open Call di Fotografia Europea 2020.
Con la riapertura dei musei, l’esposizione, che era inizialmente prevista per lo scorso autunno, è finalmente visitabile con l’opportunità di ammirare i lavori di questi sei ragazzi: Alexia Fiasco, Francesco Merlini, Alessandra Baldoni, Manon Lanjouère, Giaime Meloni e Denisse Ariana Pérez che hanno convinto la giuria composta da Walter Guadagnini, Maria Pia Bernardoni e Olivia Maria Rubio.
La mostra, promossa dal Comune di Reggio Emilia e dalla Regione Emilia Romagna, diventa specchio dei percorsi intimi e personali dei giovani fotografi, ripercorrendone i singoli ricordi, sapientemente riportati attraverso l’obiettivo della camera.
Alexia Fiasco ci accoglie col suo The Denial, curato da Marie Gomis-Trezise: un documentary fiction che usa come oggetto di studio la propria famiglia di provenienza, tra ricordi e scatti onirici. Classe 1990, nasce a Parigi dove vive e lavora, ma mossa da un forte sentimento di ricerca e scoperta della propria identità, non solo personale ma anche e soprattutto famigliare, si reca nelle Isole di Capo Verde nel 2017, da dove il padre partì quando aveva tredici anni per non farvi più ritorno. Cresciuta nella negazione delle sue radici, in quanto giovane figlia di immigrati alla ricerca di conferma e integrazione, spera di trovare nel paese natio delle risposte, deluse: torna con ancora più domande e foto risalenti a un album di famiglia che non fu mai trovato.
Alessandra Baldoni, classe 1976, vive e lavora a Magione (Perugia) dove sviluppa “piccole sceneggiature scritte per uno scatto”, consegnandoci ATLAS, a cura di Gigliola Foschi. Geografie esistenziali sono messe in scena creando una narrazione continua e imperturbabile, passando da un’immagine all’altra grazie a un sensibile e a tratti magico, nonché perturbante, accostamento di similitudini e assonanze di temi, particolari e colori. Tutto s’incastra e si collega alla perfezione lungo una linea invisibile che l’artista ha cercato di immortalare con le sue opere. Sono veri e propri mini-racconti in cui lo svolgimento e il finale è lasciato alla discrezione dello spettatore che, sicuramente, non potrà volgervi se non con certa meraviglia.
Manon Lanjouère, nata a Parigi nel 1993, dove vive e lavora, cerca di rendere lo spettatore partecipe dei misteri del cosmo con il suo Laboratorio dell’Universo, raccontandone vita e origine, alimentando l’immaginario quale moto cardine della cultura popolare. Egli, infatti, vuole mostrare attraverso l’uso dell’immaginazione artificiale ciò che non è direttamente visibile a occhio nudo, mescolando alla fotografia poesia, schizzi e vari oggetti, al fine di favorire una coraggiosa reinterpretazione artistica della volta celeste.
Francesco Merlini, milanese d’adozione, classe 1986, si allontana dalla grande metropoli nordica per rifugiarsi in una valle protagonista della sua infanzia: il progetto, che prende il titolo di Valparaiso, nasce con lo scopo di documentare i cambiamenti del luogo e di quelli apportati dallo stesso nella sua vita, in un tormentato connubio tra familiarità e distanza. Da qui i ricordi diventano un tutt’uno con incubi, sogni e visioni, sviluppando una fotografia che richiede allo spettatore di fermarsi e osservare per meglio capire ciò che sta guardando. Le immagini dai colori iridescenti si stagliano su panorami e sfondi scuri, bui, che hanno segnato il viaggio personale dell’autore.
Giaime Meloni, nasce a Cagliari nel 1984 ma fa il “pendolare” tra l’Ile-de-France e la Sardegna da cui, per la durata di due anni, raggiunge lo spazio labirintico della colonia per bambini dell’ex villaggio Eni di Corte di Cadore dove dà vita a Das Unheimliche: il progetto si fonda sul concetto estetico del “perturbante” esplorato da Freud e ravvisato in elementi considerati famigliari all’interno di contesti sconosciuti.
Tali elementi portano infatti a porsi la domanda catartica “sono già stato qui?”, relegando l’opera a metafora inerente la condizione dell’abitare contemporaneo che mette in evidenza la condizione umana di costruire una dimensione che diventi propria, domestica, all’interno dello spazio generico. L’artista mette in risalto come il ripetersi della presenza di determinate forme e colori in una sequenza possano incentivare la nascita di un percorso di ricerca di un punto di riferimento che abbia quel senso di familiarità con il luogo.
Denisse Ariana Pérez, di origine domenicana (1988), vive e lavora a Copenaghen dove studia come catturare la bellezza dei ragazzi caratterizzati dall’albinismo: è così che nasce Albinism, Albinism II, attraverso il quale cerca di evidenziare la valenza estetica dei suoi soggetti piuttosto che ritrarli come “vittime”. Il progetto, ancora in corso, vede la prima edizione della serie ambientata in Tanzania, luogo che si è contraddistinto per le violenze, gli omicidi e le segregazioni perpetrati agli albini. La seconda edizione, invece, sarà realizzata in Uganda dove la segregazione razziale verso l’albinismo è meno forte. L’opera nasce quindi con l’intento mirabile di creare consapevolezza attraverso la bellezza, a proposito del quale l’autrice afferma: “Vedo il mio lavoro come una via di mezzo, una terra di nessuno, tra realtà e fantasia, motivo per cui non potrei mai intendere la mia opera come puramente documentaria. Scopro che è un esercizio costante che consiste nel sognare e cercare la bellezza ovunque io sia. In questa serie ho reinventato paesaggi per mostrare tenerezza e sensibilità, un’aura quasi eterea in persone che non sono sempre umanizzate dalle loro comunità”.
Sei giovani artisti che grazie alla sublimazione della propria intimità e personalità trasmettono, attraverso l’obiettivo, una grande umanità.