Il 12, 13 e 14 ottobre il Cinema Raffaello di Modena ha proiettato “Maledetto Modigliani“, la pellicola che celebra grandiosamente il pittore maledetto a 100 anni dalla sua scomparsa sulle musiche originali di Maximilien Zaganelli e Dmitry Myachin, insieme al brano “Fino all’ultimo minuto” di Piero Ciampi. Il docu-film è prodotto da Nexo Digital in collaborazione con 3D Produzioni e la direzione di Valeria Parisi, scritto con il contributo di Arianna Marelli su soggetto di Didi Gnocchi.
Amedeo Modigliani riprende vita tra le parole della sua ultima compagna, Jeanne, per la famiglia Jeanette, Hébuterne, morta suicida a soli 21 anni, due giorni dopo la scomparsa dell’artista. Jeanne è la costante voce fuori campo che, insieme a storici, critici d’arte ed esperti del settore tra cui Marc Restellini ( storico d’arte ed esperto di Amedeo Modigliani ), Paolo Virzì ( regista ), Antonio Marras ( stilista ed artista ), Emilia Philippot ( curatrice del Museo Picasso Paris ), Jacqueline Munck ( curatrice Arts Modèrnes Paris ), Klaus Albert Schroder ( direttore dell’Albertina ) e John Myatt ( pittore ed ex falsario ), rende onore alla vita bohèmienne dell’artista, senza mai tralasciare un forte senso di malinconia e velata tristezza per le vicende della la loro relazione. Voce fuori campo, come la percezione costante di Jeanne di essere fuori dalla vita del compagno, nonostante la presenza della stessa dentro molti dei suoi dipinti e che le fanno aggiudicare il ruolo di musa. Racconta di come Modigliani lasciasse spesso l’amata Livorno: un rapporto di amore ed odio che gli instillerà nell’animo una persistente mancanza, definita da un sentimento di ” voglia di andare, restando”, di contro alla residenza stabile nella più attraente e avvolgente Parigi. Spentosi prematuramente a soli 35 anni, colpito dalla tubercolosi dopo aver contratto già il tifo in giovane età, Modigliani nasce appunto a Livorno il 12 Luglio 1884 per approdare nella bella Paris del gennaio 1906, dopo vari spostamenti tra la Toscana e Venezia, passando per il Mezzogiorno.
Artista poliedrico e d’avanguardia, pittore, ” un peintre de guerre “, e scultore, Modigliani, che si considera un modernista pressoché futurista a dispetto delle forme riprese dall’antichità, fa delle sue opere canali trascendenti il reale: negli occhi ciechi, vacui, è possibile ravvisare la vera entità dell’anima, ciò che realmente Modigliani ricercava. Essi erano cavi e bui, persi nell’osservazione dell’interno e non dell’esterno, caratteristica che egli riservava in particolare ai propri amici scrittori ed artisti, i più ricchi d’animo, prediligendo l’accostamento a personaggi comuni, semplici. Ritrasse Léopold Survage, amico e pittore, con un occhio pieno ed uno vuoto, per guardare col primo il mondo e con il secondo dentro di sé. Le pupille si rivelavano mancanti come nelle maschere, altro elemento fondamentale caratterizzante il suo stile, grazie alle quali, come direbbe Pirandello, siamo uno, nessuno, centomila. E cos’è l’animo di una persona se non questo? Una maschera che dietro occhi ciechi è capace di vedere la propria essenza, celata al mondo intero. Modigliani cercava di rispettare questo obiettivo, carpirne l’essenza, trovare l’anima ma senza il coraggio o la volontà di svelarla interamente a chi stesse osservando. Nella maschera gli occhi stanno dietro perché non si vedono, ed è proprio questo che Modigliani voleva scoprire: cosa c’è dietro, ciò che una maschera non mostra e nasconde. Egli auspicava ad una sorta di faccia a faccia con la figura che gli veniva negata in quanto lontana da noi: essa non ci guarda. Un animo incastrato tra profili definiti e lineari, massimo dettaglio distintivo, privi di fronzoli, eleganti, incapaci di alcun riferimento: nonostante sia stato il ritrattista per eccellenza, Modigliani non bramava l’individualità ma la forma, semplificata ma efficace perché sintetica. Sarà la cariatide il suo fiore all’occhiello: nell’architettura greca classica essa rappresentava la figura femminile portante sulle spalle e la testa un qualche peso. Nelle opere di Modigliani esse non portano nulla, l’unico peso portato e sopportato dalle sue donne dal volto anonimo, neutro, sarà l’aura enigmatica che le circonda, portali tra il mondo celeste e quello terrestre. Le fattezze richiamano l’art nègre, l’arte extra europea, pietre miliari del cosiddetto primitivismo. Inoltre egli si dedicò fin dall’età di 18 anni alla scultura, sintesi derivante dal classico ma proiettata nel futuro, grazie alla permanenza sulle pendici delle Alpi Apuane, le montagne dei marmi di Carrara.
La narrazione si dispiega sulla belle époque della ville lumière, tra droghe dai poteri visionari e illuminanti, incontri amorosi e non, rammentando la liason con la russa Anna Achmatova, che voleva essere poeta e non poetessa, sui generis, e Beatrice Hastings, alias Beatrice Tina, la poètesse anglaise, eccentrica e femminista, il cui quadro fu il primo che Modigliani riuscì a vendere, grazie a Paul Guillaume. Presto si paleserà il problema delle opere per mano di numerosi falsari, tra cui lo stesso John Myatt, che il giornalista di Le Monde, Herry Bellet, designerà come falsari illustri, ovvero artisti capaci e privi di scrupoli, dei veri Arsenio Lupin: gentlemen in grado di ingannare i borghesi, gli esperti e i mercanti. Oggi, fortunatamente, la scienza, insieme al proprio sviluppo, ci dà la possibilità di distinguere un’opera falsa da quella originale.
Un docu-film dalla trasparenza e sensibilità eccezionali, capaci di far immergere anche lo spettatore più restio nel vuoto delle opere di Modigliani che viene qui vissuto come un privilegio degno di essere profondamente ricercato. Modì ( da maudit, in francese ” maledetto “), vezzeggiativo spesso riconosciutogli, avrebbe sposato la tesi massima di Antoine de Saint-Exupery, secondo cui l’essenziale è invisibile agli occhi.
Modigliani resterà per sempre un mistero. Per sempre maledetto. Per sempre, Modì.