Porta Aperta è una associazione di volontariato di ispirazione cristiana attiva dal 1978, che si occupa di promozione umana e sociale, servizi alla persona e prevenzione del disagio e dell’emarginazione, attraverso:
- prima accoglienza: informazione e orientamento, servizi igienici e docce, mensa del vescovo, ambulatorio medico, sportello di avvocato di strada, unità di strada per oltre 1.000 persone all’anno;
- accoglienza residenziale e diffusa presso il centro di accoglienza (25 posti) e presso 4 appartamenti di seconda accoglienza per circa 120 persone all’anno;
- progetto Arca per il recupero, riuso e redistribuzione di abbigliamento, oggettistica, mobili, tutto materiale in buono stato sottratto al ciclo dei rifiuti, promuovendo nuovi stili di vita.
L’arte entra a Porta Aperta, rinnovando spazi e visioni come solo l’estro artistico sa fare. Una collaborazione interessante quella avviata dall’associazione con gli artisti Daniele Gagliardi, Simone Fazio, Lisa Lazzaretti, Fabio Bonetti, Andrea Capucci, Pierluigi Lanzillotta, Rita Begnozzi, presentata il 28 settembre 2018 in occasione dell’assemblea dei soci e della presentazione del bilancio sociale di Porta Aperta.
Gli artisti coinvolti, modenesi e non, in occasione dei 40 anni dell’associazione, hanno consegnato ciascuno un’opera ispirata ai temi dell’accoglienza e dell’ospitalità, realizzando una serie di produzioni artistiche che rimarranno fisse nei locali del centro di accoglienza ad arricchire e portare un po’ di bellezza nella struttura.
Gli artisti sono da sempre le persone più adatte a raccontare il mondo che ci circonda.
Pensiamo che l’arte non abbia nulla da raccontare o comunicare in senso didascalico, ma che sia un mezzo potente per porre delle domande senza cadere nella pretesa di una risposta a tutti i costi – hanno commentato gli artisti – Interrogarsi, evocare, mettersi in dubbio e confondere: questi sono i cardini del discorso artistico, tutto il resto ce lo deve mettere chi guarda. Abbiamo tutti il compito di occuparci delle questioni che Porta Aperta tratta quotidianamente, di cercare di capire le ragioni per cui le persone da sempre si spostano, cercano di vivere in luoghi più adatti e sicuri. Noi italiani lo abbiamo fatto già dalla fine dell’Ottocento; decine di milioni di persone sono andati nel mondo affrontando disagi e umiliazioni per far crescere la propria famiglia, per dare dignità e futuro ai propri figli. Se capiamo che questo fenomeno è più naturale di quello che il pensiero semplificato spesso vuole fare apparire, allora avremo gli strumenti e la capacità di risolvere queste nuove condizioni umane.
Laura Solieri
Noi di Mo.Cu abbiamo avuto il piacere di fare 4 chiacchiere con uno degli artisti: Daniele Gagliardi, autore di Substanza, installazione realizzata con materiale di recupero che si manifesta come equilibrio stabile in un’area di transito.
La selezione degli oggetti parte da Luglio, il tempo di una residenza artistica che ha come fine quello di creare un’opera d’arte che trascende l’oggetto in sé: rivelandosi nel tempo impiegato per realizzarla. Realizzata per lo spazio e nello spazio del centro di accoglienza, Porta Aperta, l’opera sta nel tempo necessario per realizzare la scultura, segno del tempo trascorso dentro al centro.
Quando è iniziato il tutto?
Laura Solieri e Alessandro Mescoli mi sono venuti a pescare in Accademia a Bologna. Beh per me è stata la chiamata di un’associazione come Porta Aperta per realizzare un’opera in luogo difficile, un luogo di transito. Qui regna un’atmosfera molto particolare, per me è stata un’esperienza nuova ma ho cercato di mantenere coerenza con quello che è il mio sentire.
Quindi non ti sei lasciato sopraffare dal luogo? Hai mantenuto la tua cifra stilistica…
Si, assolutamente. Il tema dell’accoglienza è un tema importante, forte e discusso, è un attimo cadere nel cliché; io trovo che la vera integrazione sia comportarsi come se l’integrazione fosse assodata, quindi perché rappresentare qualcosa di assodato?
E l’integrazione è scontata? Fa parte del panorama collettivo?
No, purtroppo. Ma ho realizzato l’installazione rimanendo fedele a quella che è la mia espressione attuale, senza temi perché di narrazioni sulla questione dell’integrazione ce ne sono tante e io non ho nulla da raccontare in più. Bisogna che queste narrazioni vengano superate.
La scelta del cortile?
Ho capito subito che lo spazio più significativo era il cortile perché affaccia a tutte le attività che hanno, è un po’ il punto di ritrovo, quello centrale e vedendolo ho capito che avrei installato l’opera li. Il cortile accoglie il passaggio e lo sguardo di tante persone e con ognuno di questi c’è stato uno scambio, un’interazione.
Le persone hanno interagito?
Si, il fatto che non riconoscessero in me un personaggio di servizio gli ha permesso di sentirsi molto liberi nell’approcciarsi: diversi mi hanno aiutato.
È interessante il fatto che il tuo linguaggio, metalinguaggio, sia slegato da una comunicazione più “classica” quindi inevitabilmente legata alla cultura occidentale; questo mette tutti nella stessa condizione davanti all’opera.
Si, e soprattutto è più necessario entrare in un linguaggio nuovo, slegato, arcaico… Bisogna andare oltre.