Alice Zannoni è critica d’arte e curatrice, ed era il 16 aprile, il compleanno della nonna novantaduenne, il giorno in cui le venne un’idea geniale. Era in giardino e stava leggendo “L’impossibilità fisica della morte nella mente di chi vive “ (2008) di Damien Hirst, un’opera d’arte, che, per capirci, tratta di uno squalo morto sotto formaldeide chiuso in una teca di vetro, dal valore di 12 milioni di dollari. La nonna le si avvicina in quel momento, con i suoi libri sacri tra le mani, le si siede accanto e le allunga un santino. Alice ne legge il contenuto e rimane piacevolmente colpita dalle parole scritte: dopotutto i santini dicono sempre cose molto belle, ma è in quel momento, nel ricevere il gesto della nonna, che sente che la carica elettrica si esaurisce lì. Non può restituire. Non può, una volta assunto il beneficio del santino, ripagarle il gesto con il contenuto di ciò che stava leggendo lei.
Come poteva spiegare a sua nonna, che uno squalo sotto formaldeide è un’opera d’arte, e che vale 12 milioni di dollari? Nel vuoto della mancata restituzione Alice si sente inutile, sente inutili gli anni di studio, i master, le qualifiche conseguite con tanto impegno.
Alice definisce l’arte come un atto rivoluzionario. Rivoluzione nel senso del moto dei pianeti intorno al sole, un andare avanti per ritrovarsi al punto di partenza e così via all’infinito. Per lei, quel 16 aprile è stato il giorno in cui è tornata al punto di partenza, nella casa dei nonni, in Veneto, dove ha passato l’infanzia. È tornata all’origine dopo tutta la strada percorsa, ed era il momento, quello, di prendere sotto braccio nonna Zita e provare a restituirle quanto aveva fatto per lei. Ma per farlo doveva aprirle il suo mondo e spiegarle cos’è l’arte contemporanea.
Nonna, ti va se in qualche lezione ti insegno cos’è l’arte contemporanea?
Nonna Zita, classe 1926, qualifica di terza elementare, risponde: «Alice, tutto è arte. L’arte è nella nostra testa», una risposta profonda e inaspettata grazie alla quale l’autrice capisce che la sua è un’idea che può funzionare. Nasce così il progetto L’Arte contemporanea spiegata a mia nonna. Ridere, piangere e capire (NFC edizioni), 15 lezioni raccolte in un libro, sviluppate a mo’ di dialogo, botta e risposta tra nipote e nonna, due mondi e due generazioni unite dal senso di generosità con cui l’una e l’altra vogliono donarsi.
Alice è stata ospite a Spilamberto giovedì 16 gennaio per un’intervista curata da Ombretta Guerri, giornalista e ufficio stampa del Comune, e dall’assessore alla cultura Carlotta Acerbi, inserita nella Rassegna “Biblioteca in Movimento” che quest’anno ha come tema “Girl Power”, donne che parlano di donne.
La difficoltà maggiore, spiega Alice allo Spazio Eventi Famigli di Spilamberto, è stata la scelta del linguaggio. Poterlo calibrare per essere accessibile e comprensibile. I critici spesso usano un linguaggio molto settoriale e specifico, che si rifà alla filosofia e all’estetica che per forza chiude fuori tutta una fetta di pubblico che non ha lo stesso background di informazioni. Quindi per queste lezioni Alice si obbliga ad usare parole basilari, semplici, di tutti i giorni, e per rendersi ancora più comprensibile alla nonna ha, secondo me, un’intuizione geniale: è lei ad avvicinarsi al mondo della nonna, fatto di orti, chiese, santini e preghiere. E da questi settori, da questi ambienti, tira fuori le metafore, le parabole, i termini che possono tornarle utili per la spiegazione.
Mi spiego meglio: Marcel Duchamp.
Alice tratta Duchamp nella primissima lezione, per parlare della genesi di un’opera. Alice mette a confronto davanti agli occhi della nonna Zita lo scolabottiglie rosso di plastica che da decenni è patrimonio della famiglia e dorme in cantina con lo “Scolabottiglie” (1914) di Duchamp. «Qual è la differenza nonna?» Dopo una serie di tentativi e botta e risposta anche divertenti che si avvalgono del dialetto veneto, Alice le racconta che l’unica differenza tra l’uno e l’altro è che uno è stato “battezzato”. Usa proprio la parola battesimo, di modo che sia il mondo della nonna a spiegare il suo. Un artista, in questo caso Duchamp, riconosce in un oggetto esistente, già fatto (ready made) un potenziale artistico, allora lo battezza, gli da un nome, lo toglie dal suo contesto e dalla sua funzione originale e lo mette in un museo. Da quel momento non è più uno scolabottiglie come il nostro, ma un’opera d’arte. «È stato proprio bravo questo signore a fare questa pensata» dice Zita, e poi «adesso riporta pure in cantina lo scolabottiglie, che è il suo contesto, e io torno nell’orto, che è il mio contesto», e in una risata si conclude la prima lezione.
O ancora: con Maurizio Cattelan Alice tratta il tema del giudizio.
Fa vedere a nonna Zita il papa schiacciato da un meteorite (La nona ora, 1999), l’uomo appeso con lo scotch al muro (A perfect day, 1999) l’enorme dito medio in piazza (L.O.V.E. 2010), il water d’oro massiccio (America, 2016). Zita non capisce lo scopo di questo artista, allora Alice le spiega che Cattelan fa esattamente come faceva lei quando era piccola durante una marachella: le lanciava la ciabatta dietro mancando il bersaglio di proposito. Cattelan fa uguale, tira la ciabatta senza colpire. Provoca, fa un gesto violento che però non deve andare a segno, non demolisce e non ferisce, mette in allerta, cerca il chiacchiericcio, la lamentela, lo stupore.
Oppure la polisemia, con Lucio Fontana.
Alice si presenta a casa della nonna con un taglierino e una tela. La sua idea è quella di provare a far riprodurre alla nonna un quadro di Fontana. La prima difficoltà da superare è il pudore, la paura di rovinare qualcosa tagliandola e ferendola. Solo con l’aiuto di Alice, a due mani, Zita affonda la lama per il primo taglio. E si accorge che non è poi così facile, che i tagli non sono belli come quelli di Fontana, che nella sua tela si vede il muro sotto, e in quella di Fontana no. E poi la domanda «Nonna, vedi un quadro o una scultura?». La prima risposta è un quadro, perché si appende al muro. Ma poi Alice le fa notare che nei tagli, nelle ferite, puoi infilarci le dita, e vederci dentro, e allora quello che fa Fontana, un genio, è quello di donare la terza dimensione a qualcosa nato per averne solo due. Per questo queste opere si chiamano Concetto Spaziale: Attesa/e.
E poi con Marina Abramovic e Ulay Alice parla del concetto di performance, che Zita non riesce a dire, e della connessione tra vita e arte; con Christo e Joseph Beuys del concetto di temporalità e fruizione dell’opera; e grazie al paragone con le messe, ovvero richieste al prete di leggere un nome durante la funzione per dare protezione alla persona in questione, il valore dell’opera. Quella della messa infatti è un’operazione che costa 10 euro.
«10 euro, per un nome nonna?»
«Ma non paghi per il nome Alice, paghi per tutto quello che ci sta dietro, per la protezione»
«Ecco nonna esatto, nell’arte è la stessa cosa, paghi per tutto quello che rappresenta l’opera».
E così via, mescolando i ricordi della nonna, la sua esperienza, con l’arte contemporanea per rendergliela accessibile, per farla appassionare, citando numerosi artisti e descrivendone il lavoro, la poetica e le opere.
La più grande soddisfazione di Alice dopo questo percorso? Quando al mare la nonna insiste per comprare un gonfiabile a forma di coccodrillo da mettere nell’orto come spaventapasseri. Allo scetticismo di Alice la nonna risponde: «Perché si può mettere uno squalo sotto formaldeide, e non un coccodrillo nell’orto?». Coccodrillo comprato immediatamente. Con questo Alice capisce di aver fatto un buon lavoro con la nonna perché l’arte è come vivere in un negozio di ottica. Scegli le lenti con cui guardare il mondo e puoi trovartelo davanti sempre diverso. È una scelta. E Zita ha capito perfettamente.