La nascita di 六/6: finding meaning

Il mondo è cambiato. Lo sentiamo. Lo respiriamo. Lo vediamo.

Un oppressore invisibile e il suo esercito silenzioso hanno preso d’assalto il mondo, dichiarando guerra al genere umano e proclamando il regno del COVID-19. La pandemia ha portato via molte cose: troppe vite, i nostri cari, la nostra libertà, la gioia dI stare con gli altri, la socialità, le scuole, i bar, il lavoro, le nostre città. Abbiamo perso il contatto con la normalità e soffriamo per queste perdite. /6: FINDING MEANING è uno strumento per ricordare, riflettere e affrontare i traumi e le brutte esperienze causate dalla pandemia.

Elisabeth Kübler-Ross identifica cinque fasi del dolore: negazione, rabbia, depressione, contrattazione e accettazione. In questo periodo abbiamo guardato il mondo spostandoci attraverso queste diverse fasi e, probabilmente, le abbiamo anche sperimentate e vissute. Ci siamo arrabbiati per le restrizioni, cercando una via d’uscita, possibilmente veloce. Abbiamo toccato in profondità la tristezza.

La chiave di tutto, però, risiede nell’accettazione. Non possiamo cancellare quello che è successo ma, allora, cosa possiamo fare?

David Kessler ha aggiunto una sesta tappa al dolore: il Significato. Questa mostra virtuale prende nome proprio dall’intuizione di Kessler e non a caso si è scelto di intitolarla con il carattere cinese 六, rappresentativo di “sei”. /6: FINDING MEANING sfrutta il canale dell’arte per aiutarci a riconoscere, nominare e accettare il nostro dolore, suggerendo e trovando nuovi modi per pensare al domani.

Ed è proprio nel “trovare il significato” che curiamo le nostre anime.

La mostra

Una mostra virtuale, almeno nel breve periodo ma di questo avremo modo di raccontarvi dettagliatamente dopo il lancio previsto per fine giugno 2020, che si compone di tre stanze.

EMOTIONAL TIMELINE

La prima stanza interpreta artisticamente lo sviluppo temporale della pandemia attraverso una manipolazione visiva delle fluttuazioni che ha subito il mercato azionario durante la diffusione del virus.

DABDA

La seconda stanza è una stanza emotiva.
Una documentazione composta di oggetti ed eventi significativi organizzata secondo le parole chiave che definiscono le cinque fasi del dolore: negazione, rabbia, negoziazione, depressione e accettazione.

6

La terza sala è la chiave di lettura della mostra.
Ospita le opere di un gruppo internazionale di artisti che hanno dedicato parte del loro lavoro alla pandemia, ognuno con le proprie caratteristiche e peculiarità. Gli artisti coinvolti sono: Anna Anderegg, Francesco Barbieri & Nicola Buttari, Marco Barotti, BiancoShock & Rolenzo, Filippo Cardella, Collettivo FX, Reve+, Gianni Lucchesi, 罗蔷 (Luo Qiang), Edoardo Malagigi, Gerardo Paoletti, Plastique Fantastique, 杨然 (Ran Yang), 汪华 (Vigi Wang), 宗宁 (Zong Ning).


La mostra è organizzata e sostenuta dalla School of Art of Nanjing University, NJU Center for Sino-Italian Cultural Studies, NJU International Office.

Con MoCu magazine abbiamo la fortuna di essere partner di questo evento di ampio respiro internazionale, assieme ad Associazione Culturale Stòff, Vicolo Folletto Gallery e Uniser, Polo Universitario di Pistoia.

 

Intervista ad Andrea Baldini

Per meglio comprendere la nascita e l’evoluzione di questo progetto, abbiamo incontrato Andrea Baldini, curatore di /6: FINDING MEANING, tramite Zoom. Andrea è stato nostro ospite in occasione del MoCu Speaks Arte Urbana – tra istituzioni e illegalità“; è Professore Associato in Teoria dell’Arte ed Estetica alla Nanjing University e Direttore del NJU Center for Sino-Italian Cultural Studies.

Come nasce l’idea di questa mostra?

L’idea della mostra nasce dalle interazioni con i miei studenti, che sono al contempo curatori e principali fruitori. Nasce da un’esigenza esistenziale autentica che io per primo ho avuto dopo i primi giorni di lockdown: esplorare le proprie emozioni e trovare un significato percorrendo gli stadi del dolore, del lutto, di tutte quelle sensazioni con cui ognuno di noi, chi più chi meno, ha dovuto fare i conti.

L’ultimo periodo è stato caratterizzato daL proliferare di iniziative online: una delle scelte adottate dalla maggioranza delle realtà museali è stata quella di realizzare mostre online, spesso con risultati discutibili. Non trovi rischiosa la scelta di realizzare una mostra virtuale?

La scelta della mostra deriva dal voler entrare in relazione con gli altri, una relazione che si costruisce e sviluppa, nel nostro caso, sul confine tra spazio virtuale e fisico.

Quello che bisogna chiedersi non è se una mostra virtuale funzioni o no, ma il perché: il problema da analizzare attentamente è come viene concepita quella mostra. L’errore che a mio parere si è commesso in questa “rincorsa all’alternativa” è stato il voler prendere quanto già realizzato nello spazio fisico e spostarlo su quello virtuale. Una mostra digitale concepita non come tale ha grosse problematiche che generano due tipi di risultati, entrambi fallimentari. Il primo è diventare un surrogato: diventa una realtà virtuale, intesa come una realtà altra, cioè dissociata dal qui ed ora; e una mostra che non ha ripercussioni sulla tua vita, che non è capace di provocare emozioni, è fallimentare. Il secondo è diventare un documentale, cioè diventare un’esperienza di archivio: un’acquisizione di nozioni, immagini e testi che anche in questo caso non è capace di riflettersi e influenzare la tua quotidianità.

Quali sono quindi i lati positivi e, se ci sono, i valori aggiunti di una mostra virtuale?

Una mostra virtuale è efficiente e colpisce il centro se è in grado di aumentare la realtà, creare cioè, in uno spazio digitale, qualcosa in grado di riflettersi nello spazio fisico, sulla tua esperienza e nelle tue emozioni. Concepire una mostra virtuale è qualcosa di altro, qualcosa di nuovo che molti di noi non sono stati mai abituati a fare e non sono in grado di fare.

Bisogna essere in grado di re-immaginare e re-inventare, bisogna tornare a riflettere su come costruire il significato. È anche questo tipo di percorso che mi interessa fare con i miei studenti perché, provando a ragionare anche a lungo termine, potrà tornare molto utile essere in grado di progettare una mostra virtuale capace di essere realizzata fisicamente.

Quali aspetti hanno determinato la connessione e l’interazione tra Italia e Cina?

Esistono tre diverse motivazioni.

La prima è di carattere esistenziale: molto semplicemente, sono un italiano che lavora in Cina ma, al di là di questo, trovo che ogni mia esperienza, in particolare artistica, sia fortemente influenzata dal mio essere italiano.

La seconda è di carattere istituzionale: sono Direttore del NJU Center for Sino-Italian Cultural Studies ed anche Professore Associato in Teoria dell’Arte ed Estetica alla Nanjing University. Questo secondo aspetto sicuramente ha portato anche alla scelta di realizzare una mostra e non qualcos’altro.

L’ultima motivazione è invece intellettuale: esiste un forte legame storico e filosofico tra l’Italia e la Cina, che attraversa i secoli. Questo asse immaginario è stato ripercorso anche dal Covid, che ha addirittura permesso agli artisti (provenienti da Italia, Cina ma anche Korea, Svizzera e Germania) il vivere un’esperienza personale in grado di essere condivisa e compresa anche a centinaia di kilometri di distanza.


Con MoCu seguiremo l’evoluzione di questo progetto e cercheremo di raccontarvi i futuri sviluppi di questa mostra anche attraverso le esperienze degli studenti e degli artisti coinvolti. Anche noi alla ricerca di un significato.