“Le parole sono pietre”.
In un Teatro Storchi pieno all’inverosimile, nel pomeriggio del 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, Loredana Lipperini dichiara sin dalle prime parole l’orizzonte in cui prende vita lo spettacolo di oggi, così come la sua produzione letteraria e giornalistica. Letteratura e social network, autori celebrati e citazioni dietro schermi senza volto: quelle quattro parole sono infatti il titolo di un’opera di Carlo Levi del 1955 e nel 2012 sono divenute un hashtag su twitter, usato per condannare il modo in cui i media trattano il tema della violenza di genere. Al centro dell’attenzione sempre l’uomo e il tentativo di giustificare le ragioni del presunto raptus e quasi mai le vite delle donne vittime di violenza e la loro unicità, figure opache che si ritrovano ad essere mera statistica in un quotidiano bollettino di guerra.
Uomini che non odiano le donne è un titolo emblematico che ci porta a riflettere sulla nostra assuefazione al fenomeno, ponendo la questione dell’esistenza di uomini che paradossalmente possono viversi senza odiare il genere femminile, o essere portatori sani di un’ostilità radicata e introiettata frutto di una forma mentis patriarcale. Come i social impietosamente svelano nella quotidiana sassaiola di commenti, quest’odio è trasversale e non risparmia neanche le donne. Loredana Lipperini, che ci ha concesso un’intervista telefonica alcuni giorni prima dello spettacolo, dice a proposito:
Credo che alcune donne non riescano a vedere che ci sono ancora questioni irrisolte legate al ruolo della donna; in un’epoca in cui tutti noi siamo abituati a pensare all’io, ciò che manca è il concetto del noi e l’incapacità di vedere oltre le differenze minime ciò che unifica: se io non ho problemi i problemi non ci sono, se ho problemi i problemi riguardano solo me.
Sul palco Simona Vinci, a cui Loredana Lipperini attribuisce “una straordinaria capacità di leggere in maniera non canonica le questioni femminili e non solo, uno sguardo laterale che in questo momento storico è particolarmente necessario”; Vasco Brondi, “uno dei non molti musicisti che è pienamente consapevole delle questioni riguardanti il genere”; e Alessandro Baronciani a disegnare dal vivo le immagini proiettate come fondale.
Il format è quello storicamente collaudato nei quasi 10 anni di conduzione di Fahrenheit su RadioTre da parte della Lipperini: una conversazione informale con gli ospiti alternata a momenti di reading e interventi musicali. Contenitore perfetto per il mezzo radiofonico, nella dimensione teatrale a mio avviso rischia di far perdere incisività ai brani scelti, e l’uso di più voci da parte degli attori della Scuola di Teatro Iolanda Gazzerro rende difficile seguire il filo rosso che unisce tutte le narrazioni.
I brani scelti, da Petrarca a Stephen King, da Boccaccio a Mariangela Gualtieri, sono esempi di una possibilità alternativa di scrivere di donne, figure letterarie che sono poste al centro dei drammi che le riguardano, di cui è possibile capire i moti interiori e soffermarsi a cercare una vicinanza, a prescindere dai luoghi e dai tempi e, certo, dal fatto che queste donne sono creature di carta.