Trasparenze – Abitare le (invisibili) utopie
Il racconto di Trasparenze Festival attraverso il romanzo “Le città invisibili” di Italo Calvino.
Il racconto di Trasparenze Festival attraverso il romanzo “Le città invisibili” di Italo Calvino.
In questa fase di sospensione, molti progetti della Cultura sono stati messi in pausa. Tra questi, l’edizione 2020 di Trasparenze Festival: il festival nasce nel 2012 ed è organizzato dal Teatro dei Venti, una realtà a cui siamo molto legati e della quale abbiamo seguito gli spettacoli in cartellone per la stagione teatrale appena conclusa. Con MoCu avremmo dovuto seguire anche gli spettacoli del festival, ma non è stato possibile e, nell’attesa di vedere la prossima edizione, abbiamo deciso di ripercorrere tutte quelle passate.
Abbiamo pensato che il modo migliore fosse giocando con voi e con Stefano Tè, Direttore artistico del Teatro, in una forma particolare: ispirandoci al romanzo “Le città invisibili” di Italo Calvino. In questo romanzo Marco Polo racconta a Kublai Khan, imperatore dei tartari, i suoi viaggi e le città che ha visitato, utilizzando solo alcuni elementi (scelti per questo gioco, “Le città e la memoria”, “Le città e il desiderio”, “Le città e i segni” e “Le città e il cielo”). Restando fedeli alla struttura di questo romanzo, rivivremo insieme tutte le passate edizioni del festival in cinque i livelli che percorreremo attraverso cinque racconti.
Modena è deserta, l’umanità è diventata scarna. Marco Polo, lasciata la corte di Kublai Khan, si è rimesso in viaggio con un obiettivo: trovare tutti gli ultimi uomini di teatro per ascoltare i loro racconti. Giungendo a Modena, Marco Polo incontra Stefano Tè e gli porge alcune domande.
Potete leggere gli elementi dei vari racconti in due modi: linearmente, dall’inizio alla fine scegliendo di seguire la linea temporale delle edizioni, oppure, al termine della pubblicazione di tutti e cinque i livelli, potrete leggere solo i racconti di una sola edizione, ritrovandola in tutti i racconti pubblicati.
Istruzioni e Livello 1 ● Livello 2 ● Livello 3 ● Livello 4 ● Livello 5
Non è detto che io creda a tutto quello che mi dirà quest’uomo. Lo guardo e vedo solo un corpo fragile: occhi scuri, barba lunga. Ma nelle sue mani, custodisce gelosamente un sapere che è antico. Un sapere che è fatto di parole. Di movimenti. Di relazioni. Ed io voglio farlo mio. Quale sarà il suo nome? Non è questo il luogo per chiederlo. Non voglio saperlo ora. Voglio ascoltare il suo racconto. Sono innamorato del teatro fin da bambino ma il viaggio mi ha sempre tenuto lontano da quel mondo. E vedere ora il Mondo vuoto mi rende triste. Non avrò più molte occasioni di assaggiare il teatro. Per questo mi sto aggirando come un esule tra gli scheletri delle città deserte e ne cerco gli ultimi suoi uomini: voglio i loro racconti, i loro ricordi. La torre bianca ed elegante di questa città ci fa da scudo e osserva silenziosa quello che resta dei sogni che un tempo abitavano le sue case.
Marco Polo
“Una persona è la somma di tutte le giornate in cui è stata zitta. È l’urlo che prima o poi viene fuori. È l’affermazione di una vita intera. È come dire: eccomi di nuovo qua”. Queste sono le parole di Michele Santeramo in “Storia d’amore e di calcio”. La seconda edizione di Trasparenze Festival si è svolta nel complesso di San Giovanni Bosco, coinvolgendo le realtà vicine al vostro Teatro e gli abitanti del quartiere. Che accoglienza ha riservato il vostro quartiere alla seconda edizione di Trasparenze Festival?
La prima edizione del Festival è stata una sorpresa, anche per noi a dire il vero. Come compagnia non avevamo mai organizzato una manifestazione così articolata, con un respiro già marcatamente nazionale. Con la collaborazione del co-direttore artistico Agostino Riitano e con lo staff del Teatro dei Venti avevamo costruito un programma che portava già il seme di quello che il Festival sarebbe diventato negli anni successivi: un laboratorio a cielo aperto, non una semplice vetrina di eventi. Già all’epoca i luoghi del Festival venivano vissuti per tutto il giorno, badando al ritmo della giornata, certo, ma provando a seguire una visione che trasfigurasse la quotidianità e favorisse l’incontro. Per questo la seconda edizione è stata attesa per tutto l’anno dal quartiere e dalle persone di tutte le età che frequentavano il Parchetto. È vero, c’è stata qualche lamentela per le voci e per la musica oltre gli orari consentiti, per il trambusto che destabilizza l’abitudine alla monotonia, ma anche quello faceva parte della drammaturgia del Festival.
C’è un’immagine che mi ha colpito molto nell’archivio della settima edizione di Trasparenze Festival: alcune persone, con cuffie alle orecchie, fiori e un foglio in mano, si aggirano tra le tombe di San Cataldo e, ad un certo punto, ballano. Puoi raccontarmi il loro viaggio e il significato di quello che stava succedendo?
Si trattava della performance “Un.habitants | Per fare spazio a noi” di Caterina Moroni, un lavoro che si interroga su quanto l’idea della morte plasmi la nostra risposta alla vita. Gli spettatori seguivano il racconto della voce guida in cuffia e un percorso tracciato su una mappa che ricevevano all’ingresso. In questo percorso, lo spazio visivo e lo spazio sonoro si intersecavano e dialogavano tra loro. La performance prevedeva la presenza di alcune guide che accompagnavano gli spettatori come custodi invisibili e come presenze e, per questo, abbiamo coinvolto alcuni partecipanti ai nostri percorsi formativi, alcuni ragazzi e un adulto canuto. “Per fare spazio a noi” ci invitava con delicatezza a entrare in contatto con la terra, dalla quale veniamo e alla quale ritorneremo e, nel frattempo, a prenderci cura di noi stessi e del mondo.
Nel video che riassume la prima edizione, “Trasparenze Festival in tre minuti”, si nota la presenza degli anziani ospiti della casa residenza San Giovanni Bosco, vostri vicini di casa. In un certo senso, loro sono la memoria di Modena. Che ruolo hanno avuto nella prima edizione di Trasparenze Festival? Puoi raccontami il significato e l’importanza della loro presenza?
Nel 2012, anno della prima edizione di Trasparenze, eravamo appena arrivati in Via San Giovanni Bosco. Da subito ci è stata evidente la ricchezza delle realtà che abitavano il quartiere, con garbo e attenzione ci siamo relazionati con esse, abbiamo iniziato a conoscerle, a visitarle nella propria quotidianità. La Scuola, la Ludoteca, la Parrocchia e naturalmente la Casa Protetta. In quella prima edizione abbiamo bussato a tutte le porte del quartiere. L’idea di Festival era già chiara in noi: volevamo ricomporre una coesione, favorire uno scambio tra gruppi sociali non dialoganti. Con molta semplicità è venuto spontaneo chiedere di entrare nella struttura, far visita agli ospiti, utilizzare i luoghi interni deputati alla socialità. Ogni anno il Festival torna ad abitare la Casa Protetta come tutti gli altri luoghi del quartiere, con la ciclicità delle stagioni.
Il cielo, nell’immaginario collettivo, è spesso associato ad luogo sacro: il paradiso. Ma è anche un luogo fisico, un gioco chimico. È un elemento naturale. È una parte del nostro mondo che diamo per scontato. Riflettendo su queste immagini potresti indicarmi quale luogo della quarta edizione di Trasparenze Festival le raccoglie tutte?
Si tratta del cielo letteralmente, dello spazio a cielo aperto che Trasparenze in quell’edizione conquista fino in fondo come luogo stabile di spettacolo. Nelle edizioni precedenti avevamo ospitato alcuni lavori all’aperto, ma sempre come eventi eccezionali. È strano, il Teatro dei Venti da sempre lavora in strada, portando gli spettacoli nelle piazze e nelle situazioni meno convenzionali, eppure ancora non ritenevamo appropriato, per i critici e per il pubblico di un festival di teatro, mettere in programma spettacoli all’aperto.
Nel 2016, con la sezione “Spazi Urbani” abbiamo invaso anche i luoghi esterni. Questo ha complicato estremamente il lavoro dei tecnici e la logistica, ma ha consentito di collocare gli spettacoli alla portata dei cittadini che solitamente non vanno a teatro, ci ha permesso di sperimentare nuove possibilità di fruizione. Quell’anno Trasparenze ha iniziato ad assomigliarci ancora di più.
“Segno / sé·gno / sostantivo maschile. Oggetto, fatto o fenomeno che costituisca indizio o prova, o che si possa ricondurre a un significato”. Partendo da questo concetto: nella terza edizione di Trasparenze Festival, oltre al complesso di San Giovanni Bosco, alcuni degli spettacoli in cartellone sono stati messi in scena in altri luoghi teatrali modenesi (Čajka e Drama Teatro) e nella Casa Circondariale di Modena. Che significato ha questa apertura?
Čajka Teatro è stato letteralmente completato nel corso di Trasparenze Festival, mentre la compagnia ospite allestiva per andare in scena. Entrammo nella sala con un tè eritreo offerto dagli amici della Banca del Tempo, fu l’anteprima dell’inaugurazione. Il Drama aveva iniziato da qualche mese la gestione degli spazi di Via Buon Pastore e fu un’occasione per esplorarlo insieme al pubblico. Nel 2015 il Festival si sposta in Primavera, nel mese di maggio, inizialmente si svolgeva in ottobre, e finalmente può assumere quella caratteristica nomade che lo contraddistingue ancora adesso. L’apertura è connaturata alla funzione di Trasparenze, che già nel nome porta il senso di ciò che si vede in filigrana, non ancora palese, da scoprire.
Ogni cosa di questo racconto è un gioco. Il tempo. Assente. Le persone. Assenti. Che fine ha fatto la vita in questa città? Non sono certo che, se ora glielo chiedessi, quest’uomo mi racconterebbe cosa è accaduto davvero. Ma a me interessa saperlo? A me. Che sono vivo il tempo di una parola su un foglio, interessa? Vorrei sentire altre sue parole. Le domande che affollano la mia testa sono tante. Troppe. Cercherò di avere pazienza. E asseconderò il tempo del mio singolare ospite.
Marco Polo