Sono ingenua.

Sono stata ingenua così a lungo da essere diventata scettica e diffidente.

Dopo aver ricevuto la cartella stampa dello spettacolo al quale sto per assistere, piena di elenchi infiniti di date, luoghi, cerimonie, riconoscimenti ed eventi da fare invidia a chiunque, permettetemelo, il mio lato razionale e pessimista ha preso il sopravvento.
Perché di presentazioni così pompose ne ho lette tante e mi hanno quasi sempre creato aspettative di gran lunga superiori alle prestazioni. Perciò entro in sala con la mia cartella stampa tronfia di parole ed elogi, consapevole ed assolutamente certa di dover almeno dimezzare il suo contenuto.

Poi non so cosa sia successo.

 

Parole, suoni, movimento, sinergia, leggerezza. Uno spettacolo per gli occhi, le orecchie ed il cuore. Un’alternanza di suoni, mani, abbracci, assenza di gravità, con un continuo richiamo alla vita di Anton Čechov, il medico, il drammaturgo, il pescatore, in un caos ordinato e studiato nei minimi dettagli.

 

Il regista, Daniele Finzi Pasca, dal quale la compagnia prende il nome, riesce a trasmettere allo spettatore la decadenza della Russia di fine ‘800 e anche il senso di miseria e povertà che ha caratterizzato quasi tutta la vita dello scrittore; ma è una decadenza creativa, sorridente, colorata e  spensierata, dalla quale lo spettatore viene volontariamente rapito e della quale rimane stupefatto, in un crescendo di immagini e musica ipnotizzante.

La compositrice e coreografa Maria Bonzanigo, che da trent’anni collabora con la compagnia Finzi Pasca, ha creato un vero e proprio capolavoro. Gli artisti si destreggiano tra le svariate arti con armonia e naturalezza, facendo sembrare tutto semplice, malgrado alcuni esercizi richiedano un notevole sforzo fisico e un’accurata preparazione. La musica è travolgente.

Lo spettacolo è stato rappresentato quasi 300 volte in venticinque paesi diversi e, presentando diverse parti in prosa (che in questo caso specifico sono in italiano) immagino che gli attori abbiano dovuto studiare la parte nelle diverse lingue dei paesi in cui hanno rappresentato lo spettacolo (la compagnia è multietnica). Molto efficace la parte in cui si parla di Modena, della Ghirlandina, della nostra tradizione culinaria.

 

Si crea un filo, uno scambio, una connessione tra lo spettatore e gli artisti. Loro assorbono un po’ di noi, della nostra città, della nostra quotidianità, e noi rubiamo a loro la grande bellezza di cui sono capaci.