L’inizio di qualcosa avviene sempre dopo la fine di qualcos’altro
Giulia Spattini – classe 1989 – danzatrice della compagnia Balletto Civile debutta con il suo primo solo “Her-on” domenica 26 gennaio alle 18.00 al Drama Teatro in occasione della settima edizione della rassegna di teatro e danza “La corsa di fuochi”. L’abbiamo intervistata per scoprire di più, e meglio, l’anima di questo suo nuovo ed importante progetto artistico realizzato con Alessandro Pallecchi e Francesco Mazzola.
Ciao Giulia, puoi raccontarci il tuo percorso di formazione artistica?
Decisamente non convenzionale e possiamo senz’ombra di dubbio dire che la gavetta è stata fondamentale! Infatti, mi sono avvicinata al mondo della danza all’età di 17 anni grazie a due mie compagne di classe delle superiori con le quali ho partecipato ad un laboratorio di teatro che prevedeva anche un weekend al mese di formazione con Balletto Civile. Sono rimasta fin da subito appassionata al loro linguaggio in quanto era ibrido: né solo teatro né solo danza. Chiesi quindi a Michela Lucenti, coreografa di Balletto Civile, come e dove potevo studiare e apprendere questa tecnica, a quali scuole di formazione iscrivermi per imparare e conoscere sempre più. Tuttavia, scuole in Italia dove poter avvicinarsi a questa commistione di linguaggio non esistono: o sono accademie di teatro o di danza. E allora niente, iniziai a seguire i workshop organizzati dalla compagnia durante i weekend (visto che andavo ancora a scuola) fino a che ebbi modo di partecipare al corso di alta formazione per professionisti “Corpo a corpo” organizzato da Michela presso Fondazione Teatro Due di Parma. Qui ci fu la svolta. Infatti, non solo ebbi modo di confrontarmi con danzatori, musicisti, cantanti, ma fu l’occasione per entrare in questo mondo nuovo a tutti gli effetti. In seguito, entrai in compagnia e conseguentemente mi formai parallelamente ai lavori che portavamo in scena. Quando dico che la mia formazione non è convenzionale è proprio per questo motivo, perché non ho studiato presso una qualche scuola o accademia, ma ho avuto la fortuna di formarmi sul palco, alla vecchia maniera, facendo tanta gavetta. Ovviamente non mi sono fermata qua, ma ho continuato a fare molti laboratori, sia in Italia che all’estero, per rimpolpare la formazione e per capire cosa c’era in giro. Dal 2015, per 4 anni, ho collaborato con Teatri di Mare. Una compagnia prettamente teatrale diretta da Francesco Origo dove ho avuto la possibilità di lavorare sul linguaggio teatrale, sulla prosa, parte che mancava nella mia formazione all’interno di Balletto Civile. Grazie a questa esperienza lavorativa ho avuto un grandissimo insegnamento sulla parola che mi ha permesso di avere così uno spettro formativo più ampio.
Her-On è il tuo primo solo?
Sì, è la prima volta che vado in scena completamente da sola. È molto interessante perché venendo da una compagnia che lavora sull’insieme, sul gruppo, andare in scena da sola ha un meccanismo molto diverso. È infatti stimolante sperimentare la scena come singolo dopo aver lavorato tanto in gruppo, con tante persone.
L’idea alla base del progetto?
È il cambiamento e le scelte che dobbiamo prenderci la responsabilità di fare per attuare quel cambiamento. Nello specifico in questo caso si parla del mancato rito di passaggio che c’è tra l’adolescenza e l’età adulta. Un rito che nella società occidentale non è segnato da nessuna data precisa, da nessun evento stabilito ma sta alla responsabilità del singolo. E questo chiaramente crea molte difficoltà perché la società ritarda questo cambiamento. Siamo giovani fino a 40 anni, che non è vero, e quindi ad un certo punto le persone devono prendersi la responsabilità di diventare grandi malgrado quello che succede intorno: la precarietà, l’impossibilità di crearsi un’indipendenza economica stabile. Tuttavia, gli individui devono trovare il modo di crescere ugualmente. E questo modo che bisogna trovare sta in molte cose: riguarda non solo gli aspetti economici o che la società ci impone, ma riguarda anche una presa di responsabilità interna del singolo. Non rimanere addormentati in un alibi, ma scegliere di crescere e di diventare grandi malgrado tutto.
Come è nata la collaborazione con Alessandro e Francesco?
Con Alessandro lavoriamo insieme in Balletto Civile da parecchi anni. Ho cominciato a scrivere il solo circa un anno e mezzo fa, e da lì è nato lo studio “Longing For” che ha girato indipendentemente. Successivamente ho abbandonato il progetto per un periodo ma poi ho chiesto aiuto alla compagnia in quanto avevo bisogno di uno sguardo che mi aiutasse a capire cosa funzionava e cosa no. Poiché stando sia in scena che creando avevo bisogno di qualcuno che mi aiutasse a focalizzare cosa fosse utile alla scena. Alessandro ha manifestato interesse per questo mio progetto e quindi ha iniziato a lavorare sulla scrittura coreografica. Con Francesco invece la collaborazione è nata perché ad un certo punto abbiamo pensato che fosse utile che io dialogassi in scena con un oggetto altro, in questo caso con un video. Essendo Francesco un videomaker ha creato la drammaturgia dei video che sono sulla scena e poi insieme li abbiamo girati. Dapprima abbiamo creato lo spettacolo e poi abbiamo cercato di capire quale potesse essere il dialogo tra lo spettacolo e l’oggetto video, molto importante perché deve dialogare con la scena. Non può essere solo sfondo, non può sovrastare il danzatore in scena ma deve dialogare. Quindi ci siamo interrogati su come utilizzarlo, su che tipo di funzione potesse avere. I video raccontano la storia di un altro personaggio, come se i personaggi dello spettacolo fossero due: uno è sulla scena e l’altro all’interno dei video, e lo spettacolo si fonda su un dialogo tra questi due personaggi.
Her-on è uno spettacolo di teatro fisico, quindi con un’unione di linguaggi. Puoi raccontarci meglio questo aspetto?
Il linguaggio di questo spettacolo parte dall’azione agita, dove l’azione coreografica è un’azione pregna di senso. Come se ognuno dei pezzi che Alessandro Pallecchi ha scritto coreograficamente, partendo dall’ideazione del lavoro che gli ho proposto fossero dei testi, dei monologhi, dei racconti. Non la danza come intermezzo, come momento di astrazione ma come narrazione. Senza però diventare didascalica, senza che il movimento diventi mimico. Abbiamo cercato di creare uno spettacolo dove l’azione danzata fosse pregna di senso e contenesse un senso di per sé per ridare all’azione danzata la dignità di contenere un senso e farsi veicolo, non essere solo astrazione, ma parte del racconto di qualcosa.
È possibile quindi rendere la danza narrazione?
Sì. Il pubblico tende oggigiorno a considerare la danza come noiosa. Noi, come Balletto Civile, ma anche come singoli con questo lavoro, abbiamo l’idea e la pretesa di lavorare sul linguaggio che si fa narrazione di per sé affinché l’oggetto danzato possa essere un oggetto comprensibile al maggior numero possibile di persone. E non che rimanga un oggetto elitario e intellettuale, ma che la danza torni ad essere popolare, di comprensione anche se questo richiede certamente al pubblico un impegno di analisi e pensiero. Qui rientriamo nella distinzione fra intrattenimento ed arte: infatti il primo non richiede allo spettatore una chiave di lettura, ma lo distrae, mentre l’arte ti richiede una lettura, concentrazione, uno sguardo sull’oggetto che ti porta di conseguenza a pensare, sia che ti sia piaciuto o meno l’oggetto artistico. Questo, oltre ad essere un’esigenza dell’artista è anche veicolo di una riflessione, non di un messaggio.
Se dovessi racchiudere lo spettacolo in un concetto, quale sceglieresti?
Direi “scegliere di cambiare”. Mi spiego meglio. La nostra generazione sta subendo moltissimo a livello sociale ed economico in questo momento. Siamo in difficoltà sotto molto punti di vista. Durante la creazione dello spettacolo mi sono interrogata su quanto spesso la lamentela rispetto a questa situazione sia improduttiva. Ovvero, dopo che siamo arrivati a questa conclusione, che siamo sfortunati, che cosa possiamo fare? Dobbiamo agire, prenderci la responsabilità del cambiamento. Crescere e cambiare sono responsabilità personali che nessuno adempirà al tuo posto e dobbiamo prenderci il rischio anche di cadere nel vuoto.
Lo spettacolo parla di transizione verso l’età adulta. Cosa vuol dire essere un danzatore giovane al giorno d’oggi?
Essere un danzatore giovane al giorno d’oggi, ma possiamo dire essere un danzatore in generale, è complicato. Specie in un paese come il nostro dove la cultura spesso è considerata un hobby, dove un ragazzo giovane che decide di studiare arte nella sua complessità, non solo danza e teatro, ma tutte le arti, è appoggiato solo fino ad un certo punto dalla società. Culturalmente si pensa spesso che sia una perdita di tempo, che non sia un mestiere remunerativo che non abbia il valore di un qualsiasi altro mestiere socialmente approvato. Quindi essere un danzatore è molto complicato perché vuol dire fare un sacco di sacrifici e lotte, significa rinunciare a moltissime cose perché anche economicamente la società non ti tutela. Il nostro contratto nazionale è un contratto molto basso, non ci sono tutele legate ai periodi di non lavoro perché il lavoro del danzatore (come anche quello dell’artista teatrale) è per sua natura un lavoro ad intermittenza. È un lavoro che ha bisogno di molti aggiornamenti, di molto studio e spesso ci si trova anche a lavorare molto per poco. Non è facile essere un danzatore al giorno d’oggi, come credo non sia facile essere un giovane al giorno d’oggi. In ogni caso, credo che sia molto delegato alla responsabilità del singolo trovare la forza di stare dentro questo sistema, cercare di cambiarlo nel piccolo, esigendo un rispetto e aumentando le proprie competenze all’interno di un sistema che valorizza a stento questa professione.
È la prima volta che debutti in casa. Aspettative e paure?
La prima volta che ho debuttato a Modena in realtà è stato nel 2011 al Teatro delle Passioni con “Il sacro della primavera” spettacolo firmato da Michela Lucenti e Balletto Civile. Però questa volta è chiaramente diverso, perché il lavoro è sempre prodotto dalla compagnia, ma è appunto un solo, quindi un percorso più personale. Sono molto emozionata di tornare a casa con questo spettacolo. Niente paura, ma sono molto contenta ed entusiasta di poter condividere una parte del mio percorso con la mia città.
La tua percezione sulla scena artistica modenese relativamente al teatro fisico?
Partendo dal presupposto che vivo fuori Modena da oltre dieci anni quindi non conosco le realtà effettive sul territorio da poter dire nello specifico, ritengo comunque in generale che in Italia ci sia una difficoltà in merito a questo linguaggio. Veniamo da una tradizione molto consolidata rispetto al teatro di prosa e alla danza classica, per cui la commistione di linguaggi a livello nazionale è molto difficile rispetto ad altre realtà del Nord Europa. Credo che anche a Modena siamo forse ancora un po’ indietro e non abbiamo ancora abbandonato questa divisione dei linguaggi della scena. Esistono infatti le stagioni di teatro e di danza, quindi, chi fa un lavoro che sta a metà, che è ibrido, ha delle difficoltà di mercato, in un paese dove queste distinzioni di linguaggio sono ancora molto marcate. Non si può poi sottovalutare che il livello tecnico sia della danza che della parola debba essere alto se poi vi è una commistione dei due linguaggi. Ma credo che a livello culturale la questione principale sia la disabitudine ad un linguaggio ibrido sulla scena, la diseducazione a questo tipo di espressione, in quanto siamo reduci da un grande tradizione sia sulla danza che sul teatro, quindi muoverci in una zona a metà è più complesso relativamente ai modelli che ci troviamo intorno.
Ricapitolando
HER-ON | Domenica 26 gennaio ore 18.00 @ Drama Teatro
regia, ideazione Giulia Spattini
coreografie e suono Alessandro Pallecchi
video e luci Francesco Mazzola
Un monolocale poco arredato, con i confini accennati come da un gesso su una lavagna, una ragazza rovista indaffarata nei ricordi di sé.
Un dialogo solitario tra quello che siamo e quello che potremmo diventare, una lotta alla scoperta della forma nuova.
Her-on è un’indagine sul momento di passaggio per diventare adulti, ma anche su tutti i momenti della vita in cui siamo cambiati.
Her-on è l’animale guida, l’airone dal becco giallo che libero segna la via.
È l’avvertimento che il tempo di cambiare è arrivato, Her-on è qualcosa a cui tendere.
Diventare adulti è una sfida che accomuna tutti gli uomini, una missione solitaria in cui ci ritroviamo disarmati.
L’airone indica la via ma spetta a noi trovare il coraggio di percorrerla.