Lo spettacolare Moby Dick (qui la nostra intervista realizzata a Luca Cacciatore, direttore musicale di Moby Dick) portato in scena dal Teatro dei Venti ha tirato momentaneamente i remi in barca ma non senza che i suoi attori cavalcassero l’onda del momento: se gli spettatori non possono entrare a teatro, è il teatro che esce all’aperto.

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Foto di Elisabetta Baracchi

È proprio grazie al progetto “Teatro Aperto”, realizzato col patrocinio del Comune di Modena, che il Teatro dei Venti soffia la propria arte al di là delle nostre mura con Favole al citofono, rivisitazione di Favole al Telefono di Gianni Rodari raccontate via telefonica. Lo fa al citofono, appunto, oppure su Zoom, come avvenuto per gli ospiti della Casa Residenza per Anziani, o con Favole alla Finestra, oltre i vetri delle classi della Scuola Primaria San Giovanni Bosco.

Le strade del quartiere dove “abita” il Teatro dei Venti diventano un palcoscenico e cambiano nome: questo spazio ora diventa la zona turchina. Via Puccini, Via Bonacini, Via Monte Grappa e Viale Verdi vengono popolate da tre personaggi colorati e sopra le righe che, torcia alla mano e accompagnati da una dolce musica, si spostano da un campanello all’altro a raccontare le favole.

All’uscita del paese si dividevano tre strade: una andava verso il mare, la seconda verso la città e la terza non andava in nessun posto. Martino lo sapeva perché l’aveva chiesto un po’ a tutti e da tutti aveva avuto la stessa risposta.

– Quella strada lì? Non va in nessun posto! È inutile camminarci.

– E fin dove arriva?

– Non arriva da nessuna parte.

– Ma allora perché l’hanno fatta?

– Ma non l’ha fatta nessuno, è sempre stata lì!

– Ma nessuno è mai andato a vedere?

Come il protagonista di questa favola (Martino Testadura ne La strada che non va in nessun posto), il teatro sceglie di non arrendersi e cerca di percorrere strade non conosciute per reperire nuova linfa vitale direttamente dall’altro suo elemento costitutivo: il pubblico. Rispettando il distanziamento sociale e creando un nuovo luogo di relazione, attraverso il citofono si possono ascoltare tre favole di Gianni Rodari: La strada che non va in nessun posto, Un giovane gambero e Il paese senza punta.

Gli attori percorrono la strada diretti alla casa dove è stata prenotata la favola e, come il Martino di Rodari,

una mattina si alzò per tempo, uscì dal paese e senza esitare imboccò la strada misteriosa e andò sempre avanti. […] Cammina e cammina la galleria non finiva mai, la strada non finiva mai. A Martino dolevano i piedi e già cominciava a pensare che avrebbe fatto bene a tornarsene indietro quando finalmente vide un cane.

La luce della scena è quella del lampione, suggestiva e indifferente mentre alcuni curiosi si fermano ad ascoltare.

[…] in alto apparve il cielo e la strada terminò sulla soglia di un grande cancello di ferro. Attraverso le sbarre Martino vide un castello con tutte le porte e le finestre spalancate e il fumo usciva da tutti i comignoli e da un balcone una bellissima signora salutava con la mano e gridava allegramente: Avanti! Avanti, Martino Testadura!

Ed è la stessa la reazione che si sente dall’altro capo del filo mentre l’attore parte con il racconto.

– Allora non ci hai creduto!

– A che cosa?

– Alla storia della strada che non andava in nessun posto

– Era troppo stupida e secondo me ci sono anche più posti che strade!

– Certo! Basta aver voglia di muoversi!

Oxana Casolari. Foto di Diego Camola

Durante la conferenza stampa dell’11 dicembre, si è parlato anche dell’iniziativa che coinvolge le carceri di Modena e Reggio Emilia con lo spettacolo Padri e Figli, le cui prove si sono svolte prima di Natale, annoverando una progettualità inclusiva capace di mantenere intatta la produzione artistica, in collaborazione con il Coordinamento Teatro Carcere Emilia Romagna, la Casa Circondariale di Modena e la Casa Reclusione di Castelfranco Emilia insieme al sostegno della Regione Emilia Romagna e il contributo della Fondazione di Modena.

Il tutto si svolge nell’ambito del macro progetto europeo “Freeway – Free man walking – theatre as a tool for daitanees’ integration” a cui prendono parte lo staff di InEuropa insieme a tre partner che operano nelle carceri dei rispettivi paesi ovvero aufBruch (Germania), Fundacja Jubilo (Polonia) e UPSDA (Bulgaria) e di cui il Teatro dei Venti tiene le fila, sostenuto da Creative Europe per promuovere la creazione artistica, la formazione, l’audience development e lo scambio di buone pratiche di teatro in carcere a livello europeo.

Tale lavoro, ideato a marzo, avrebbe dovuto vedere la luce proprio a dicembre ma è stato rimandato a data da destinarsi, senza, però, interrompere la produzione che avverrà comunque grazie ai laboratori permanenti nelle carceri, oltre a una sessione di prove presso il Teatro dei Segni.

Il fulcro di questa iniziativa è da ricercare nel tentativo di mantenere salda la relazione con la comunità del territorio, perché, come afferma Stefano Té, direttore artistico del Teatro dei Venti:

Siamo artigiani delle relazioni, dobbiamo conciliare utilità e creatività, ma rischiamo di soccombere, vittime di una normativa spesso miope.

Tutti i lavoratori del teatro che sono fermi da febbraio sono completamente dimenticati, ma noi non dimentichiamo il pubblico.

 

Crediamo che in questo periodo sia fondamentale mantenere un rapporto con il territorio, per questo abbiamo immaginato gli interventi quotidiani. Per noi tornare a chiuderci era impossibile e impensabile, allora abbiamo deciso di dedicarci alla nostra principale vocazione stando all’aperto, a contatto con le persone.

Il teatro è chiuso al pubblico, subisce delle limitazioni, ma può trovare il modo di creare relazioni, senza cercare scorciatoie, senza per forza rifugiarsi in uno schermo.

Siamo artigiani della relazioni e sui limiti possiamo costruire una poetica, una modalità di racconto e di incontro. Questa relazione per noi è fondamentale e va al di là dei luoghi chiusi. Questo quartiere per noi è un teatro, un luogo teatrale, di sperimentazione.

Non ha logica proibire a spazi culturali di operare, almeno per la corsistica, nel pieno rispetto delle norme. Non si possono fare corsi con dieci persone in spazi molto ampi e arieggiati, ma si può accedere a luoghi di culto e recarsi liberamente nei centri commerciali.

Il fine di questa operazione è chiaramente eliminare parte di un settore. Quella più fragile. Quella parte fuori da FUS e tutele varie. Siamo talmente in sofferenza che non riusciamo neanche a fare rete. Ognuno è troppo preso dal cercare vie d’uscita. Ma non ci sono vie d’uscita.

Abbiamo bisogno di azioni concrete, sia per gli attori che per gli spettatori.

Con queste parole Té ritrae la sopravvivenza del settore artistico e culturale di questi giorni, sostenuto dall’Assessore alla Cultura Andrea Bortolamasi:

Quello che manca dal dibattito pubblico in questo periodo è una discussione sui luoghi e sugli operatori e i professionisti degli spazi culturali, intollerabile in un paese come il nostro. Manca un orizzonte, necessario per ripartire.

Le azioni che in città stiamo provando ad accompagnare agli enti locali non sono sufficienti e non bastano per rispondere alle legittime richieste di aiuto che non sono solo di natura economica, anzi, ma di riflessione sulla struttura in sé, maggiormente in difficoltà dall’assenza di programmazione.

 

Un artigianato umanistico, quello del Teatro dei Venti, la cui bottega non chiude mai.