Oh! Infanzia, purezza mia! Dormivo in questa stanza, di qui guardavo il giardino, e tutte le mattine la felicità si svegliava con me! Ed è rimasto com’era, uguale, intatto! Bianco! Tutto bianco.
Anton Čechov, Il Giardino dei Ciliegi , atto I, 1904
Poco prima di morire Anton Čechov scrisse di un giardino in mano a ricchi proprietari terrieri, Ljuba e Gaev, che era andato all’asta per debiti e che fu ricomperato da un ex-servo della gleba rampante rappresentante della borghesia in ascesa, tale Lopachin, che dopo l’acquisto abbatté ogni ciliegio presente.
A “svuotare” il regno descritto da Čechov nel suo classico della drammaturgia “Il Giardino dei Ciliegi” ci hanno pensato Nicola Borghesi, Paola Aiello ed Enrico Baraldi di Kepler-452, giovane compagnia teatrale bolognese. Per riempirlo di un nuovo senso hanno individuato un tema centrale nell’opera cechoviana, la scomparsa dei luoghi dell’anima per motivi economici. Sono usciti dalla sala prove, da una dimensione piccola, stretta e a volte claustrofobica. Hanno intercettato nella realtà quei principi artistici che già sono presenti in essa, che vanno indagati e messi nella posizione di potersi esprimere. E non c’è modo migliore di indagare sulla realtà se non quello di intercettare le persone che nella realtà vivono.
In un lungo percorso di indagine sul territorio i Kepler-452 hanno incontrato diversi “giardini” e persone con una specifica competenza e identità in relazione al tema: sono passati dal centro sociale Atlantide e i suoi ex occupanti ad ascoltare strane teorie sulle leggi del Judo in una palestra improvvisata all’interno di un container; hanno preso fisicamente parte all’ultima occupazione puramente abitativa di Bologna in Via de Maria, passando per Blu, i suoi murales e la sua protesta contro la museificazione forzata; fino ad arrivare in Via Fantoni 47, ad un incontro che avrebbe cambiato la vita di tutti.
I Rimini Protokoll parlano dei non professionisti come di esperti della vita di tutti i giorni, il professor Guccini li chiama gli attori-mondo. Gli attori-mondo dei Kepler-452 si chiamano Annalisa e Giuliano, che in Via Fantoni 47, in una casa colonica concessa loro in comodato d’uso gratuito dal Comune, si sono svegliati felici per 32 anni.
C’era una volta una casa, con un grande giardino dove sorridevano i girasoli.
C’erano Giuliano e Annalisa a sistemare e inventare. C’erano, cavalli, mucche, cani, falchi, volpi del deserto, cinghiali, un lupo, una lumaca, un camaleonte, un boa constrictor, un pappagallo di nome Ara, una gatta di nome micia, un leopardo, un babbuino. C’erano un plotone di carcerati, un caminetto e un tavolo dove gli uomini mangiavano con gli uomini.
Era FICO.
E poi non c’era più niente.
Una mattina di Settembre del 2015 Annalisa e Giuliano si sono visti recapitare un telegramma con il quale il Comune di Bologna intimava loro lo sfratto. Presto davanti al loro giardino sarebbe sorto FICO (Fabbrica Italiana Contadina) il parco a tema agroalimentare più grande del Mondo. 60 interminabili giorni di battaglia e coltellate al cuore, per impacchettare una vita intera.
Quello che resta, ora che tante cose sono perdute, si legge nei solchi dei loro visi belli, che è così bello guardarli.
In scena, Annalisa e Giuliano, portano le loro vite, impersonano sé stessi impellicciati in due improbabili cappotti, leggono, inveiscono, in continua prossimità con gli sfrattati di Čechov. Ed è proprio negli scarti tra il testo ottocentesco e il frammento della loro esistenza che si insinua il meccanismo di emarginazione dei giorni nostri, in un conflitto che ha tantissimo a che vedere con il momento storico che stiamo vivendo. I luoghi sono di chi li abita o di chi li compra? È una domanda che può avere infinite risposte. Mentre Paola mi coinvolge sulla scena insieme ad altri spettatori, ne viene in mente solo una: intesi come luoghi fisici non hanno alcun significato se svuotati della componente umana e delle storie che li hanno abitati, perciò, senza le loro anime non credo che i luoghi siano necessariamente di chi li compra.
Per salvare i “giardini” come quello di Giuliano e Annalisa occorre in primo luogo conoscere le anime che hanno vissuto quei luoghi. Si può fare in tanti modi, attraverso un’inchiesta giornalistica, si può fare andando ad incontrare le persone o attraverso uno spettacolo di teatro, facendo comunità. Quello che riescono a fare i Kepler-452 in scena con Annalisa, Giuliano e Lodo Guenzi (front-man de Lo Stato Sociale) è raccontarci cos’è una comunità, una famiglia, e farci riflettere su come sia centrale, per immaginare un futuro, stare insieme agli altri uomini, incontrarsi, conoscersi e resistere alla pressione di certe politiche distruttive.
Giuliano, secondo te, esiste un modo per salvare i “giardini” come il vostro?
“C’è un modo, ed è molto semplice. Quelli che hanno agito contro di noi, lo hanno fatto perché noi non facevamo denaro, facevamo cultura. Ed è questo a cui le generazioni future devono guardare, alla cultura. Siamo in pieno fascismo, scendiamo in piazza! Non possiamo stare a guardare! C’è un mio amico dei servizi sociali che l’altro giorno mi ha chiesto “ma come fanno Giuliano a scendere in piazza le generazioni d’oggi, non sanno niente”. E noi glielo insegniamo! Qual è il problema? Ho risposto io. Quindi la chiave è la cultura e quello che stiamo facendo noi con questo spettacolo non è altro che questo.”
Una risposta illuminante, durante una lunga chiacchierata che ho avuto il piacere di fare con Giuliano, Annalisa e i Kepler-452 prima di vedere lo spettacolo.
Quello che ho visto negli occhi di Giuliano e Annalisa è profondo e rabbioso. È l’amore per tutto il tempo in cui hanno vissuto una vita liberamente associativa mettendo in gioco tutto di sé stessi.
Sono fuggiti coscientemente da un bisogno di sicurezza che ha molto a che vedere con lo sviluppo di questo preciso momento storico, dalla voglia di andare dritti al punto che elimina dall’orizzonte quelle cose considerate “inutili”, come la cultura. Hanno vissuto un tempo liberato dall’ossessione del lavoro, della produzione.
E io vorrei saper fare come loro, senza rassegnarmi.
“Il Giardino dei Ciliegi. Trent’anni di felicità in comodato d’uso” è una produzione ERT, Emilia Romagna Teatro Fondazione.
Ideazione e drammaturgia Kepler-452, per la regia di Nicola Borghesi.
In scena al Teatro delle Passioni, Viale Carlo Sigonio 382, Modena
16,17,19 Ottobre ore 21.00
20 Ottobre ore 20.0
21 Ottobre ore 15.30