Intervista a Emanuele Aldrovandi, regista di Farfalle, in scena al Teatro delle Passioni dal 3 all’8 marzo 2020, a cura di Enrico Bollini, Luca D’Arrigo, Daniele Pellegrini, Veronica Tinnirello, Davide Tortorelli, Verdiana Vono, allievi del corso Perfezionamento Dramaturg Internazionale, nell’ambito dell’operazione “Per un sistema internazionale: Scuola di Teatro Iolanda Gazzerro” Rif. PA 2018-9877/RER, approvata con DGR 1208/2018 del 30/07/2018 e cofinanziata da Fondo Sociale Europeo, (Progetto 3).


“Raccontare storie è il mio unico obbiettivo”. Questo il cuore della conversazione, queste le parole che rimangono fisse nella memoria dopo l’incontro con Emanuele Aldrovandi, uno dei più giovani e importanti drammaturghi della scena italiana. La stagione 2019-2020 lo vede finalista con il testo La morte non esiste più al Premio Riccione; al debutto negli Stati Uniti al The Tank Theatre di New York con il testo Farfalle (vincitore del Premio Hystrio – scritture di scena nel 2015 e del Mario Fratti Award nel 2016); al debutto come regista con lo stesso testo al Teatro delle Passioni di Modena, prodotto da ERT Fondazione; last but not least, in attesa di diventare padre.

Differentemente da quanto si potrebbe pensare il teatro non è sempre stato il centro della sua vita e dei suoi obbiettivi. Infatti:

È arrivato quasi per caso, dopo una laurea triennale in Filosofia e durante la magistrale in Lettere quando avevo 22 anni. Frequentavo per pura curiosità un corso di creazione teatrale al MaMiMò di Reggio Emilia, il cui esito prevedeva anche la scrittura di un testo e mi sono reso conto che la scrittura per dialoghi mi veniva meglio di altre.

Con l’accesso al corso di drammaturgia della Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi di Milano, in cui ora è docente, la scintilla è diventata fiamma, nonostante gli importanti sacrifici.

Ho fatto l’ultimo anno di università e il primo di accademia contemporaneamente. Non ho avuto alcun tipo di rapporto sociale né amici per un anno. Ma ho avuto la possibilità preziosissima di lavorare con registi e attori, e fare pratica di palcoscenico. Questo mi ha permesso di imparare un codice specifico che da allora è il veicolo delle mie storie. Ma non è l’unico: voglio indagarne altri, soprattutto il cinema. Il mio cortometraggio Un tipico nome da bambino povero è stato presentato quest’anno, fra gli altri, al Giffoni Film Festival e al Festival del Cinema di Roma.

Entrando nel merito del suo rapporto con la scrittura teatrale Aldrovandi ammette un dubbio, centrale per ogni buon autore: “Forse ciò di cui parlo non interessa a nessuno”. La chiave è allora non avere nessuna pretesa di universalità, ma dare forma e mettere in discussione, attraverso il motore del dialogo, a problemi, posizioni e pensieri; perché il teatro è per lui il mezzo attraverso il quale vivere un dilemma mentre lo si scrive.

Convinto che il lavoro si poggi sia sulla Technè che sull’ispirazione, trova stimolante costruire il punto di vista di un personaggio che è contrario al suo e questo gli è sicuramente concesso nel caso di scritture originali, non viziate dai vincoli produttivi dei lavori su commissione. È convinto che non abbia senso sensibilizzare un pubblico già cosciente di certi argomenti politici. Non lo convince quel teatro politico che fa sentire alcuni migliori di altri, che si propone come un divertissement per chi ha già quella certa idea politica.  Aldrovandi cerca di mettere in crisi la classe sociale che lo va a vedere.

Quando ho scritto “Allarmi!” per ERT ho pensato: è un testo sui fascisti in Italia e in Europa. In un teatro in cui il 99 per cento del pubblico sarà di sinistra, non ha senso che faccia uno spettacolo in cui mi limito a parlare male dei fascisti; perché su questo saremmo tutti d’accordo.

La discussione continua parlando di Farfalle, il testo prodotto da ERT che proprio lui dirigerà per la messa in scena al Teatro delle Passioni di Modena dal 3 all’8 marzo 2020.

Farfalle racconta di due donne, due sorelle legate nell’arco delle loro vite da un rapporto fortemente simbiotico che ha il suo “totem” in una spilla a forma di farfalla che le due si passano l’un l’altra nell’ambito di un gioco segreto che le accompagna e le lega nelle varie fasi delle loro vite. Parlando delle tematiche nucleari della drammaturgia, è Aldrovandi stesso a dirci che Farfalle è un testo sulle dinamiche umane, che parla di rapporti fra sorelle, figli, genitori. Ci racconta come ciò da cui è partito nella composizione del testo sia stato il valore dell’esperienza.

A volte si assolutizza l’esperienza che si è vissuta, dimenticandosi che spesso è una narrazione, una creazione personale che non ha a che fare con la realtà. La divergenza di immagini fra le persone crea una diversità nelle visioni del mondo. Dopo anni di esperienza le persone non si capiscono più. In questo testo cerco di mettere in scena un problema di relativismo. Pensandoci meglio, questo è un problema anche politico, perché la politica tende incessantemente a assolutizzare concetti considerandoli giusti per tutti.

Un testo nel quale un altro nucleo tematico fondamentale è l’universo femminile nelle sue mille sfaccettature, fra le quali la maternità. Aldrovandi ci spiega come si sia preparato a dar voce a due personaggi femminili nei modi più disparati, dal leggere la letteratura pirandelliana carica di figure femminili multiformi e complesse fino a confrontarsi attivamente di persona con donne, fra le quali non per ultima la moglie. Spesso la drammaturgia italiana negli ultimi anni ha sfruttato la famiglia per parlare della società. Per il giovane scrittore questo avviene per due ragioni: da una parte la famiglia, avendo di solito pochi elementi, è più “semplice” da scrivere, accoglie bene una scrittura fatta di personaggi e dialoghi, dall’altra la tematica familiare aiuta a riconoscersi nelle storie che vengono raccontate.

Credo, tuttavia che questo non basti: il testo deve avere anche una specificità legata al teatro che lo renda fruibile in quel particolare luogo. E la peculiarità più interessante di un testo teatrale è che non deve essere per forza rassicurante.

Al contrario di quanto avviene con Netflix o con la televisione. Aldrovandi, osservando i suoi colleghi, vede sempre più l’impegno ad andare oltre un post-modernismo da quattro soldi, come direbbero i Wu Ming. I canoni del Novecento sono oramai stati spezzati e l’aristotelismo è stato messo in crisi e in teatro, come nell’arte visiva, da anni si discute attorno all’impossibilità di conoscere il reale, all’impossibilità di dargli una forma, di coglierlo. Questa tendenza è ormai esaurita.

Non si può fare un taglio sulla tela dopo Fontana, né ritengo sia giusto rifare quello che ha fatto Sarah Kane vent’anni fa: non funzionerebbe più. Credo che oggi, dopo aver distrutto, si debba cercare di ricostruire. Quantomeno dare un senso nella creazione per cercare un senso nel nostro essere vivi.

Queste considerazioni portano la discussione sull’argomento regia. Essendo del 1985, può dire di essere nato quando la stagione della regia in Italia era al suo apice. Con questa consapevolezza procede nell’analisi del passato recente:

Il teatro di regia a volte rischia di diventare un divertissement per un pubblico di critici auto-compiaciuti. Al netto di alcune felici eccezioni, la ripresa dei classici è troppo spesso un gioco di rimandi incrociati che lascia fuori gli spettatori che non hanno già visto almeno altre tre versioni dello stesso testo. Credo che gli autori teatrali oggi siano vent’anni avanti rispetto a certi approcci del teatro italiano. E il pubblico se ne accorge. C’è voglia di testo, di drammaturgia, di nuove storie.

La riflessione si focalizza quindi sulla sua poetica di messa in scena – sarà lui infatti a curare la prima italiana di Farfalle: “Mi ci approccerò come se fosse il testo di un altro, cercando però di capirlo e di farlo vivere per quello che c’è al suo interno”.

Secondo Aldrovandi la cosa più importante è consegnare una storia allo spettatore, non un messaggio.