Intervista a Lino Guanciale, regista di Nozze di Elias Canetti, a cura di Davide Tortorelli e Lillo Venezia, allievi del corso Perfezionamento Dramaturg Internazionale, nell’ambito dell’operazione “Per un sistema internazionale: Scuola di Teatro Iolanda Gazzerro” Rif. PA 2018-9877/RER, approvata con DGR 1208/2018 del 30/07/2018 e cofinanziata da Fondo Sociale Europeo, (Progetto 3)


Prima l’uomo o l’artista?
Quello che fai si deve nutrire di quello che sei, delle tue esperienze, delle relazioni che costruisci. Quello teatrale è un lavoro che non si fa da soli. Per cui non è solo una questione morale, ma una questione funzionale. La prospettiva è del tutto razionale. Senz’altro prima l’uomo.

 

Il 4 novembre, nella suggestiva cornice della Corte Ospitale di Rubiera, abbiamo incontrato Lino Guanciale, regista di Nozze di Elias Canetti. Lo spettacolo, prodotto da ERT, è in programma al Teatro delle Passioni di Modena dal 7 al 15 dicembre 2019. Lino, attore di grande talento e ampia visibilità, debutta alla regia e, fin da subito, ci appare a suo agio in questo nuovo ruolo.
Siamo nella sala prove. Vediamo la scena allestita e illuminata alle spalle di Lino e, mentre ci parla, i personaggi paiono prendere vita dietro di lui, seguendo il ritmo delle sue parole. Pare di vederli: la Gilz, il pappagallo, Horch… A qualche metro da noi, silenzioso e concentrato, l’assistente alla regia e aiuto dramaturg di Lino, Luca D’Arrigo.

Nozze – prove- fotografia di Riccardo Frati

Dopo la prima domanda, Lillo prosegue con un’altra domanda, quasi esistenziale.
Nel portare in scena un testo è necessario condividere l’etica dell’autore?
Più che l’etica dell’autore, quello che si deve rispettare è una deontologia: non si può tradire il testo che si mette in scena. Se ci si allontana completamente dal materiale su cui si lavora quello che si fa è una riscrittura, non un’interpretazione. L’unica fedeltà che si deve avere è alla logica interna al testo, al suo spirito fondamentale. Io amo moltissimo Céline, ad esempio, e auspico di fare un lavoro un giorno su Viaggio al Termine della Notte. Però non condivido nulla del Céline di Bagatelle per un massacro. Potrebbe essere interessante portare in scena anche quello ma solo per oggettivare una distanza. Dipende da ciò che interessa fare dei testi su cui ci si concentra. In quel caso comanderebbe l’artista sull’uomo.

Seguendo lo schema preparato, Davide riporta il centro dell’attenzione sul teatro.
Fare teatro è innanzitutto un atto politico, un mezzo per confrontarsi con la società, per mettersi in aperta discussione con essa, in una prospettiva critica. Cosa ne pensi?
Il teatro perde se stesso nel momento in cui si chiude nella cerchia di una fruizione elitaria per vecchi appassionati o professionisti del settore. Sono talmente convinto che il teatro possa essere un luogo di rinnovamento, morale, politico e culturale che qualcosa dentro si spezza se davanti a me trovo le facce che prevedevo.

Canetti (uomo riservato) e il suo principale modello Karl Kraus (uomo al centro della vita mondana viennese). A chi ti senti più vicino?
Kraus è stato il primo amore di Canetti e lo è stato in virtù del carisma. È anche a questo innamoramento che si deve la spinta per la scrittura di Massa e Potere in cui tanto si parla anche di individualità carismatiche. Se dovessi scegliere tuttavia, per inclinazione individuale starei con Canetti. Credo infatti che la riservatezza sia un valore, anche artistico. So che lavoro meglio quanto meno mi espongo. Tuttavia, la visibilità, interpretata come strumento e non come motore dell’attività artistica, può attrarre chi in teatro non c’è mai andato o ha smesso di andarci. Bisogna abituarsi all’idea che anche a teatro i confini non hanno senso, non ha senso costruire muri. Non bisogna guardare al pubblico che non ha abitudine teatrale come si guardava ai visigoti un tempo o come si guarda ai migranti oggi.

Nozze – prove- fotografia di Riccardo Frati

L’obbiettivo è chiaro: portare a teatro un pubblico nuovo. Creare uno spazio di confronto critico fra le diversità, che appartiene a tutti, in cui ognuno può prendere posizione. Un’idea di teatro proposta dal direttore di ERT, Claudio Longhi con il quale Lino collabora da sedici anni e con cui ha inventato «un certo modo di fare le cose, di fare politica culturale attraverso il teatro, di lavorare sui testi» creando un rapporto strettissimo fra i cittadini e il loro teatro ormai riconosciuto come centro di elaborazione culturale, di diffusione di idee e di riflessione su temi che li riguardano.

Nozze […] prende di petto temi estremamente potenti oggi. Nel testo, c’è un’ossessione per la proprietà, la difesa del sangue, la soggezione dell’altro attraverso il potere gerarchico seduttore che è cosa estremamente attuale. [..] Pubblicato nel 1932, risente delle spinte di un mondo che sta scivolando verso la notte sempre più nera dei totalitarismi assassini in Europa. Portare in scena questo testo oggi credo che sia un’azione di resistenza. Mette in luce molte fragilità politiche, etiche e culturali del nostro mondo. Più che parlare di mostri che arrivano al potere, oggi è utile cercare di capire quale cultura culla e crea quei mostri e se c’è il rischio che rinascano. Credo che Nozze racconti bene come quel mondo ha fatto fiorire fiori così tetri. Detto questo, sarei felice se Nozze lo vedessero persone che hanno idee politiche diverse dalle mie e che non risultasse una predica fra noi che pensiamo di essere bravi e di aver colto con maggiore intelligenza i problemi del nostro mondo più di quelli che dicono “prima gli italiani”. Io non sono così convinto che noi ci vediamo più lungo. Un confronto sarebbe interessante.

In Nozze, la borghesia non ha nessun “fascino discreto”, è volgare e completamente preda dei bassi istinti. Quello era il mondo che vedeva Canetti o era una metafora?
In Nozze non c’è soltanto la critica della borghesia dell’epoca, ma anche una fotografia abbastanza attendibile della media dei condomini europei dell’epoca. La scrittura di Canetti è fortemente attuale perché chiunque può riconoscere in diversi passaggi del testo risonanze con conversazioni di casa propria, degli appartamenti accanto o del proprio paese. L’autore mette in mostra quell’ “eterno borghese” che ruota morbosamente sempre attorno agli stessi valori: potere economico, potere d’acquisto, ossessione per la sicurezza e la proprietà. Il borghese che tende ad arraffare tutto quello che può per far vedere che il suo mucchio è più grosso di quello dell’altro. Quanto ci appartiene tutto questo? Tantissimo, è il latte che succhiamo da piccoli.

Che cos’è la casa di cui tutti parlano e che ritorna come un ossessivo Leitmotiv?
Sto costruendo la regia dello spettacolo a partire da un’identificazione fra il “casa casa casa” del testo con il “sangue e zolla” di Goebbels o, nella sua veste più nobile, la Heimat della tradizione junkeriana e tedesca in generale. L’idea di appartenenza a una terra, a un sangue, a una proprietà. La parola “casa” echeggia moltissimo nella messa in scena, più ancora che nell’originale per restituirne la natura fra il serio e il faceto che in alcuni momenti fa ridere, in altri dà i brividi. L’ossessione per questo tipo di principio identitario offre il fianco a determinate derive: come il gesto di alzare muri più alti possibili, individuare un nemico che vuole infrangere questi muri e anche il predicare la propria supremazia sugli altri. Questa strada porta ad aderire alla morte come principio identitario e di potere. La cosa sorprendente in Nozze è che quando i personaggi sono messi di fronte alla realtà della morte, prima evocata per gioco, cambiano completamente. Quando la morte è davanti a loro si scopre la loro vera natura, non possono più mentire. Ognuno cerca di salvare ciò che può, in maniera anche molto comica, ma assolutamente non consolatoria. Io non do una lettura pessimista a Nozze. Perché è più potente il monito di quanto non sia la rappresentazione fatalista del destino della sua civiltà, del suo mondo o forse del nostro.

Nozze – prove- fotografia di Riccardo Frati

Ci salutiamo su questa ipotesi. Lo spietato e ironico ritratto della borghesia europea degli anni ’30 di Canetti può farci riflettere sul nostro presente e le sorti della nostra società? Non resta che scoprirlo, andando a vedere lo spettacolo.

(Dopo l’intervista non possiamo che fermarci a parlare di Lino, del suo garbo e di quanto questa chiacchierata sia stata illuminante e piacevole.)