Intervista a Giorgina Pi (Compagnia Bluemotion), regista di Wasted, a cura di Tinnirello Veronica e Cantieri Emilia, allievi del corso Perfezionamento Dramaturg Internazionale, nell’ambito dell’operazione “Per un sistema internazionale: Scuola di Teatro Iolanda Gazzerro” Rif. PA 2018-9877/RER, approvata con DGR 1208/2018 del 30/07/2018 e cofinanziata da Fondo Sociale Europeo, (Progetto 3)
Dal 17 al 22 dicembre Wasted di Kate Tempest sarà in scena al Teatro delle Passioni di Modena con una tua regia. Come nasce l’incontro con questa poetessa e rapper britannica?
Questo incontro nasce casualmente un paio di anni fa in una libreria. Vedo questo piccolo libro nero con scritto Kate Tempest, Let Them Eat Chaos. Poi apro il libro e vedo che il traduttore è Riccardo Duranti. Ci lega un filo del destino perché lui è anche il traduttore di Settimo Cielo (Testo di Caryl Churchill tradotto da Riccardo Duranti per la messa in scena realizzata da Bluemotion, con la regia di Giorgina Pi, ndr). Insomma, compro questo libro, lo inizio a leggere e mi accorgo che non stavo semplicemente leggendo un meraviglioso libro di poesie, ma che stavo leggendo un libretto d’opera contemporaneo perché quelli erano i testi di un disco. Lo inizio ad ascoltare.
Da lì iniziai a leggere tutto quello che potevo di Kate Tempest, cercando in rete, chiedendo a Riccardo e così via. Poi scopro Wasted, un’opera nata per il teatro e provo un’emozione molto forte. Resto molto affascinata dalle trame interne del testo sia dal punto di vista del linguaggio che da quello emotivo. Questa storia aveva delle risonanze molto forti con la mia perché in quel momento avevo perso da poco un caro amico per il quale avevamo piantato un albero all’Angelo Mai, esattamente come succede nella storia di Wasted.
Chi sono i protagonisti di Wasted?
Kate Tempest li ha pensati poco più che ventenni. Noi li abbiamo immaginati dieci anni più grandi. Ci sembrava più congruo rispetto alla società italiana. Per me loro sono, come dire, tre figure di base profondamente luminose, ma oscurate a forza dalla vita e da una condizione di mancanza di speranza. Sono tre persone nate e cresciute in una dimensione sociale che gli fa credere di essere predestinati a rimanere sempre nel fango in cui sono nati. C’è Charlotte che alla scuola media già si interroga profondamente sul senso della sua vita, ma anche sul senso dell’insegnamento. Kate Tempest traccia delle sfumature psicologiche molto molto accurate, molto precise e anche molto commoventi. Penso che Kate Tempest per Charlotte abbia scritto uno dei monologhi più commoventi del teatro contemporaneo. I due uomini, invece, sono chiaramente due figure opposte ma complementari. C’è il più talentuoso che fa l’impiegato ed ha una vita stabile ma rassegnata per aver rinunciato ad un’esistenza artistica. L’altro personaggio ha continuamente delle esplosioni perché vorrebbe fare il musicista e avere una vita più libera ed è quello che meno ce la fa. In questa strana giornata narrata in Wasted, per ricordare l’amico defunto dieci anni prima, mollano la loro vita ordinaria e stanno insieme come ai vecchi tempi, quando erano felici e credevano ancora che le cose potessero essere possibili.
Un celebre verso di Kate Tempest, che dà anche il titolo ad un suo racconto, dice “Resta te stessa”, “Hold Your Own”. Come si fa a restare sé stesse/i?
Innanzitutto, bisogna capire se quel se stessi, che sia sé stessa o sé stesso, è ciò che veramente sentiamo di essere o ciò che ci hanno fatto credere di essere. Questo è il primo passaggio. Il secondo è darci la libertà di essere noi stessi attraverso continue metamorfosi, di non sentirci in alcun modo obbligati a una forma di staticità, di coerenza, che è una parola pericolosissima rispetto all’essere se stessi. Un’altra parola pericolosissima e che rischia facilmente di assumere un segno negativo è identità, soprattutto se non la si intende come qualcosa di fluttuante come in realtà è. Per restare sé stessi, una grandissima guida è l’inconscio, è tutto ciò che ci mette in sincronicità con le cose. Kate Tempest questo lo dice molto chiaramente nei suoi testi, dove la questione è anche legata a un discorso di classe, ciò che la nostra condizione economica comporta da quando nasciamo. Il suo è un discorso dedicato alla speranza e alla possibilità del cambiamento. In Wasted l’autrice affida questa possibilità al coro greco, rappresentato dagli stessi tre attori come se stessi o come altro da sé.
Bluemotion realizza spettacoli e ambientazioni coniugando arti della scena, ricerca visuale, musica dal vivo. Qual è il rapporto tra musica live e testo nei vostri lavori?
Abbiamo deciso di ambientare la storia di Wasted in una sala prove dove gli interpreti suoneranno e canteranno. L’intersezione fra musica e arti è legata a una questione fortemente biografica. Le persone più importanti della mia vita sono i componenti di Bluemotion e del collettivo Angelo Mai, con i quali cresco umanamente e artisticamente da 15 anni. In mezzo a loro ci sono musicisti e altri artisti. Quando prepariamo uno spettacolo io scelgo un testo, uno spunto, un’idea e da subito iniziamo a lavorare insieme con letture del testo, improvvisazioni, ipotesi di regia, e visioni di film che ci guidano anche se apparentemente non c’entrano niente con lo spettacolo. Noi lavoriamo così. È una condizione naturale: è come se gli spettacoli suonassero già da prima.
Che realtà è l’Angelo Mai?
L’Angelo Mai è un collettivo artistico e politico nato 15 anni fa da una storia di lotta, di occupazione. In rete con tante altre realtà della città, è un luogo importante per Roma che è una città orrenda, spesso confusa, dove accadono cose che tendono a separare e non a unire le persone. La nostra vita in questo spazio è legata da una parte alla produzione della compagnia Bluemotion e dall’altra all’ospitalità di altri artisti, oltre che a iniziative di carattere politico. Portiamo avanti lo spazio in assoluta autogestione, ci dividiamo i compiti, lo difendiamo da tutti gli sgomberi che abbiamo vissuto negli anni e da attacchi di altro tipo come furti, devastazioni e minacce fasciste.
Perché è così importante per te l’impegno politico in relazione alla pratica artistica?
Non riesco proprio a sentirli distinti. La presa di parola pubblica, che è l’arte, e nello specifico il teatro, ha lo stesso obiettivo della politica, ma in più ha il dono di poter utilizzare metafore. È il modo migliore per tentare di migliorare il mondo. Non riesco a immaginare l’arte come un esercizio meramente estetico o di intrattenimento che non si muove da una cosa veramente urgente. Penso poi che la politica se non sogna e non viaggia alto, prendendo le istanze più profonde dell’arte, non riuscirà mai a migliorare le cose.
Ci salutiamo con alcuni versi di Kate Tempest.
Si muore
Perché altri possano nascere
S’invecchia
Perché altri possano essere giovani
Il senso della vita è vivere
Amare se si può. E poi tramandare
Stiamo tentando di diffondere Kate Tempest, questa creatura meravigliosa, che tra l’altro abbiamo conosciuto l’anno scorso quando è venuta a Roma. È veramente un’artista speciale, merita di essere diffusa il più possibile.