Giovedì 15 Giugno ho affrontato una prova che sapevo sarebbe stata parecchio impegnativa per me, un quasi profano del genere: assistere ad un concerto rap. Tolto il primo Neffa (quello con Deda e Gruff, per intenderci), i Beastie Boys e pochissimo altro, confesso di non avere una gran preparazione in merito e, a dirla tutta, neanche una gran attrazione nei confronti del genere. Ad ogni modo ho sempre pensato che in musica, come nell’arte in generale, ogni categoria abbia degli elementi interessanti a prescindere quindi, con atteggiamento positivo, mi sono diretto all’estatOFF, per il live di Willie Peyote. Data la mia scarsa conoscenza dell’ambiente ho preferito giungere minimamente preparato scoprendo che si parla molto bene di questo ragazzo e che, nonostante sia solo al secondo album in studio, ha avuto molte collaborazioni e ha già registrato diversi EP.
Alle 22, spaccando il minuto, sale Frank Sativa (beatmaker, dj e, da qualche anno, produttore) che scalda il pubblico con qualche vocalizzo e qualche base famosa per gli intenditori. Sul palco insieme a lui salgono Josè Loggia alla chitarra e un bassista, del quale però non ho colto il nome. Infine, accolto da urla come una rockstar, arriva anche il Maestro di Cerimonie Willie Peyote che apre con “interludio”, pezzo del nuovo album “Educazione Sabauda” che si conclude con una citazione dell’Avvelenata di Guccini. Poi continua a ruota, senza fronzoli, tra brani vecchi e nuovi come “c’era una vodka”, “peyote451”, “l’outfit giusto” e “i cani”.
La prima cosa che apprezzo, oltre agli strumenti sul palco che non sono scontati in questo genere, è l’intelligenza con cui scrive i testi; quando canta, ogni parola arriva come un colpo di bisturi: chirurgico, affilato e letale. Ogni frase è costruita con perizia e quel che lascia senza parole è la faccia tosta con cui affronta i luoghi comuni dell’Italia e la meticolosità con cui li smonta, pezzo dopo pezzo, senza risparmiare nemmeno la stessa musica rap del momento. Tutto questo avviene con uno stile ed un atteggiamento tale per cui, anche se qualcuno si sentisse toccato nel vivo dalle sue critiche, gli verrebbe comunque istintivo di offrirgli una birra a fine concerto.
Lo show prosegue e la band, in particolar modo il bassista, dà una gran prova di bravura; il groove è caldo e va perfettamente a braccetto con le basi di Frank, creando il veicolo ideale su cui Willie possa portare in giro i suoi versi. A seguire arrivano “Oscar carogna”, “TmVB”, “friggo le polpette nella merda” e “io non sono razzista ma”, il brano probabilmente più soft e orecchiabile ma, a mio avviso, anche quello più sagace ed attuale. Alle 23:20 circa lo spettacolo finisce, tra i meritati applausi, e Willie si ferma un po’, mettendosi a disposizione per fare due chiacchiere o una foto.
In conclusione, Willie Peyote dice che
Il rap lo fanno per i bimbiminkia e le ragazze
Ha raggiunto il grande pubblico. È un fatto quindi grazie
Ma fino a un certo punto, grazie per il tentativo
Ora Il mio compito è portarlo ad un livello successivo
e, personalmente, sono convinto che ne abbia le capacità. La sua critica è puntuale e spero di fargli un complimento dicendo che in lui vedo l’erede di Frankie Hi-NRG, per l’intelligenza, la sottile ironia e, beh, anche un po’ per l’occhiale. Anche dal punto di vista della band e della “musica” vera e propria, il torinese è circondato da professionisti che creano sottofondi interessanti, tra il funk e il soul, con qualche richiamo colto, di tanto in tanto, che non guasta mai. Sono convinto che, in un prossimo futuro, sentiremo parlare del Peyote sempre più spesso.