Sapendo dell’esibizione di Mike Patton al teatro comunale Luciano Pavarotti di Modena (ve ne avevamo parlato qui), mentre parlavo con la mia collega Enrica della necessità di scrivere qualcosa a riguardo, lei mi ha fermato dicendo: “Patton ha vissuto a Bologna per diversi anni, a Reggio Emilia vive Olivier Manchion (membro di Ulan Bator, Faust, Permanent Fatal Error, ecc…), a Modena invece non mi risulta che qualche musicista di tal calibro abbia ancora scelto di trasferirsi…”.
Poi, si sa, l’erba del vicino è sempre più buon… più verde, ma sta di fatto che Enrica sia riuscita ad intervistare Manchion mentre io mi sono dovuto “accontentare” di assistere alla performance di Patton e Uri Caine al Comunale.
Parte I – la California sotto le torri
Parlare di Mike Patton senza dire banalità o cose già dette è praticamente impossibile, perché dovendo scrivere di una personalità musicale così dirompente e fuori dagli schemi non si può che incorrere in noiose ripetizioni. Quello che invece mi sarebbe piaciuto approfondire è il rapporto che c’è stato tra Patton e la nostra terra, tanto con Bologna in particolare quanto con l’Italia in generale; fatto sta che, purtroppo, di quel periodo giungono poche notizie, sparse e frammentate e Internet non mi aiuta, essendo all’epoca una creatura ancora in fasce nella Penisola. Lo stesso Mike, persona molto alla mano ma, al tempo stesso, restia a parlare della propria vita personale, non si sbilancia mai e parla dell’esperienza in Italia come di un momento importante, sia sul piano personale che su quello artistico. Durante un’intervista rilasciata in seguito all’uscita di Mondo cane glissò completamente le chiacchiere di carattere intimo dicendo soltanto che era molto legato all’Italia e che trovava nella nostra musica degli anni ’50 e ’60 una bellezza troppo spesso sottovalutata. Nessun accenno al matrimonio di 7 anni con Titi Zuccatosta (nonostante la si veda ancora a teatro, in qualche rara occasione, durante le esibizioni dell’ex-marito), alle centinaia di vinili, cassette e cd di musica nostrana acquistati in negozi dei quali ormai sbiadisce anche il ricordo o ai cinema scalcagnati in cui fu avvistato durante proiezioni che definire d’essai è un complimento. D’altra parte, chiedendo in giro, c’è una band di amici di amici, la quale registrò quasi 10 anni fa collaborando con un tecnico che aveva lavorato con Patton qualche anno prima, in uno studio nell’appennino bolognese… oppure c’è chi asserisce di aver acquistato la sua Vespa e averlo scoperto solo tempo dopo averla tirata a lucido e rimessa in moto. Troppo poco.
A fronte di tutto ciò, quel che resta è la profonda connessione tra il californiano ed il Bel paese, tanto da arrivare ad essere una sostanziosa parte del suo lavoro negli ultimi 10 anni. Vedere una tale mente vulcanica all’opera su pezzi che ormai anche i nostri genitori reputano desueti e con una tale perizia e cura beh, per quanto mi riguarda, vale non dieci ma cento C’è chi dice no tributati dai Metallica in quel di Torino.
Mike Patton & Uri Caine
Mike Patton ha descritto l’evento dicendo: “consideratela come una sorta di serata piano-bar che vada a finire male”, motivo per cui non me la sarei persa per nulla al mondo. Per quel che mi riguarda, considero invece lo spettacolo come il seguito di Mondo Cane o, meglio, come la sua naturale evoluzione. Se nell’album del 2010 e nei suoi relativi live il repertorio era composto da brani celeberrimi nella tradizione italiana, in questo caso invece il titolo è decisamente emblematico: Forgotten Songs, ovvero una rassegna a 360° tra le canzoni che, in qualche modo, sono state dimenticate o che comunque non appaiono spesso nei radar delle emittenti radiofoniche.
L’ingresso sul palco del Comunale è paragonabile a quello di un bravo e carismatico attore, la cui simpatia e vitalità mette quasi in ombra lo straordinario talento del proprio sodale, Uri Caine. Tempo pochi secondi e mr. Patton è già a proprio agio, barcamenandosi tra gli effetti per modulare la voce e qualche strumento ritmico, a cavalcioni su uno sgabello da bar. Così, dallo swing di Buscaglione passa alla sperimentazione di John Cage; dalle note soavi di Connie Converse vira al thrash-metal degli Slayer, il tutto reinterpretato in chiave molto personale, veleggiando a vista sull’avant-garde e sfruttando appieno la preparazione tecnica di Caine. La rievocazione del tango di Astor Piazzolla, altro musicista molto legato all’Italia anche a causa delle proprie origini toscane, è stato uno dei momenti più inaspettati e graditi che abbia ascoltato negli ultimi anni. Infine il duo conclude con un doppio encore, senza rinunciare a coinvolgere il pubblico in un breve botta e risposta sulle note di una vecchia pubblicità per bambini, andandosi a prendere i meritati applausi.
Posso affermare che le aspettative siano state ampiamente soddisfatte e di aver assistito ad una performance inusuale e dal ricco valore artistico. Mi piace pensare che quello che Mike Patton cela della propria vita finisca per comunicarlo attraverso la musica, essendo al tempo stesso prototipo dell’anti-rockstar e rocker genuino.