In pieno tour a supporto del loro ultimo lavoro, i Julie’s Haircut arrivano in quel dell’estatOFF dopo una serie di date che li ha visti protagonisti in interessanti situazioni italiane come il Locomotiv di Bologna, il Bronson di Ravenna e il Monk di Roma, oltre a diverse date all’estero tra Germania, Francia ed Inghilterra. Causa rigide disposizioni comunali, essendo in mezzo alla settimana, il concerto prende il via puntuale alle 22, davanti a quasi un centinaio di persone. Dopo una breve intro, la band inizia proponendo l’ultimo disco in studio ma fin dalle prime battute la performance appare un po’ spenta e poco incisiva, col basso fuori fase e, a mio avviso, maggior colpevole di un impatto sonoro un po’ sterile.
Proseguendo con i brani, la situazione migliora ma si ha sempre la sensazione che manchi qualcosa a livello di clima sonoro. D’altro canto, ho trovato molto interessanti le dinamiche melodiche create dagli intrecci tra le due chitarre elettriche ed il sax di Laura Agnusdei, che ritengo la “voce” più affascinante nel coro di strumenti. Molto suggestivo anche il lavoro svolto da synth e Moog, che danno un’impronta talvolta siderale e talvolta “doorsiana” (come nel brano “Fire Sermon”) alle armonie.
A proposito del loro lavoro in studio, il nuovo disco mostra appieno lo spessore e l’esperienza ventennale della band; a partire dalla lunga suite chiamata “Zukunft” e proseguendo nel cammino musicale si intraprende un viaggio sonoro eclettico e dalle mille sfaccettature, il cui leitmotiv è uno space-rock permeato da molteplici contaminazioni, quali la psichedelia, il Jazz (innegabile il tributo versato a Miles Davies) e il noise alla Sonic Youth. È un percorso molto interessante che, per certi versi, ripercorre quello che è il percorso artistico stesso della band e ripropone molti degli elementi che li hanno caratterizzati nei diversi periodi della loro evoluzione artistica, rielaborati con l’attuale maturità.
Finita l’esecuzione di “Invocation and ritual dance of my demon twin” c’è ancora tempo per qualche vecchio brano e, a sostegno di quanto detto prima riguardo l’iniziale mancanza d’incisività, mi duole dirlo ma l’impatto sonoro è completamente diverso. Nel riproporre i lavori precedenti arriva finalmente quell’elemento che era mancato fino ad ora: la cosiddetta “pacca”. Alle 23:30 il tutto si conclude e, in generale, posso dire di aver assistito ad un bel concerto, ricco di richiami colti e di soluzioni musicali molto interessanti e per nulla banali.
In conclusione, trovo che non abbia molto senso (nel caso in cui lo abbia mai avuto) parlare per etichette e che occorra anche mettere da parte quel già troppo abusato termine “kraut-rock” perché quando si parla del lavoro dei Julie’s Haircut, si parla di qualcosa che va oltre il banale cliché e la semplice categoria. Ciononostante, anche i J’SH non si sono rivelati immuni ad una pecca sempre più presente nelle band: mancanza di attitudine live. Intendiamoci, dopo 20 anni i sassolesi non hanno nulla da imparare su come si stia un palco e questo ci tengo a sottolinearlo, ma ciò a cui mi riferisco è proprio la resa dal vivo del loro ultimo lavoro. Sarà una mia sensazione, ma spesso ho avvertito una mancanza d’impeto, come se la spontaneità fosse strozzata a favore di un meno mediato compromesso artistico. Che dire? La mia speranza nel criticare il lavoro degli altri è sempre la stessa: venire smentito dai fatti e quindi il mio augurio va alla band, affinché trovi il rodaggio giusto per riproporre propriamente un album davvero interessante.