La situazione che sta affrontando il settore culturale sta cambiando le carte in tavola non solo in Italia, ma anche all’estero. Oggi ho intervistato Matteo Fiorani, un ballerino modenese che vive e lavora a New York.
Il suo percorso parte proprio da Modena, dalla scuola di danza “La Capriola”. Nel 2016, grazie ad una borsa di studio, Matteo parte per la Grande Mela e inizia ad approfondire i suoi studi di danza classica e contemporanea ballando per la Peridance Contemporary Dance Company.
Ora, come tutti gli addetti ai lavori del mondo artistico e culturale, anche Matteo è stato catapultato in un contesto completamente nuovo: la sua visione ci può dare una prospettiva diversa su ciò che sta accadendo in questo periodo negli Stati Uniti, in particolare nel mondo della danza.
Ciao Matteo, negli Stati Uniti l’emergenza è arrivata con qualche settimana di ritardo. Il tuo legame con l’Italia ha influito sul tuo atteggiamento verso la quarantena?
Decisamente, il forte legame con la famiglia e con gli amici residenti in Italia ha aiutato nelle prime settimane di emergenza. Le norme da seguire sono diventate dogmatiche nel momento in cui ho capito che la situazione sarebbe potuta peggiorare. Seguire subito i consigli di chi la stava già vivendo mi e sembrato saggio, dato che ho sempre ritenuto l’esperienza diretta di grande valore.
Come ha reagito la compagnia di danza? Sono stati presi subito dei provvedimenti?
Il direttore ci ha subito riferito la decisione di sospendere tutte le attività fino a nuovi aggiornamenti provenienti dal governatore di New York. In questo momento si potrà riaprire solo con l’approvazione statale.
Hai scelto di restare a New York invece di tornare a casa, seppur per un breve periodo. Quali sono state le motivazioni che ti hanno spinto a rimanere in America?
Il motivo vero è uno solo: il visto, senza il quale non mi è permesso risiedere e lavorare negli Stati Uniti. Attualmente è difficile fare previsioni su quando potrebbe arrivare la risposta. Anche se dovesse essere per un tempo prolungato, ci tengo molto e sono pronto ad aspettare quanto serve. Questo visto è un passo importante perché mi consentirà di continuare e approfondire il mio percorso, iniziato da alcuni anni.
La danza è una di quelle forme d’arte, come il teatro, che presuppongono la presenza fisica di uno spettatore e che difficilmente si adattano alle piattaforme online. Tu, insieme alla tua compagnia, avete pensato ad attività alternative?
Non da subito, abbiamo preso tempo per valutare meglio come procedere.
Dopo una settimana abbiamo cominciato le lezioni online, che per quanto distaccate dal contesto e dagli spazi della classe vera e propria, mantengono sicuramente quella proprietà didattica di base della danza: diventare consapevoli della propria forma fisica nello spazio (facciamo lezione usando maniglie come appoggi e in spazi ridotti).
Per fortuna in un mondo sommerso di tecnologia essere connessi non sembra essere più un problema. Il web è uno strumento utile che dà accesso ad altre modalità di interazione.
La presenza digitale è una direzione che sembra inevitabile. Credi che questo possa essere il momento giusto per contribuire ad un cambiamento nella fruizione della danza oppure questo è un mondo che non può in nessun caso adattarsi perché rischia di snaturarsi?
La mia passione e l’interesse che ho verso la danza sono un’evoluzione della mia originale ossessione per il movimento. Se da bambino l’approccio era tradotto in iperattivita e follia creativa, crescendo ho capito in quale direzione potevo concentrare le mie energie.
Il movimento, proprio per la sua capacità di mutare forma, può creare da una parte un caos disordinato, dall’altra trovare un equilibrio. E questo aspetto è importante perché permette di capire che la natura stessa del movimento è il passaggio da uno stato all’altro, adattandosi. L’adattamento è inevitabile quando è necessario. Di fronte a misure severe ci si reinventa. Penso che le piattaforme digitali possano costituire un’alternativa nel breve periodo e che nel futuro saranno uno strumento aggiuntivo importante.
Ci saranno molti cambiamenti alla fine dell’isolamento, soprattutto nel primo periodo alcune attività dovranno essere adattate a nuovi metodi di fruizione e di lavoro, metodi più restrittivi per rispettare il distanziamento sociale. A New York sono già state messe in campo soluzioni e proposte da parte delle istituzioni e dei luoghi della cultura?
In questo particolare momento credo siano tante le domande e poche le risposte esaustive. Che io sappia non sono ancora state diffuse regole specifiche da adottare sul posto di lavoro, ma ci arriveremo presto una volta entrati nella fase due.
La ripresa di per sé è una scommessa. I settori dove avverranno cambiamenti importanti sono tantissimi ed è per questo che cooperazione e fiducia nelle istituzioni saranno fondamentali per garantire una ripartenza organica.