La piccola provincia di Modena ha accolto tanti anni fa l’artista Chris Channing.
Regista, coreografo e specialista del physical theatre, si è formato al Royal Ballet School di Londra per proseguire a Parigi all’Ecole de Teatre Jacques Lecoq, all’Ecole Philippe Gaulier e in stage con Ariane Mnouchkine presso il Théâtre du Soleil. Da 30 anni lavora nel mondo dello spettacolo anche come performance artist, consulente, direttore di eventi e festival, regista, designer, coreografo e scrittore.
The clown has great importance as part of the search for what is laughable and ridiculous in man. We should put the emphasis on the rediscovery of our own individual clown, the one that has grown-up within us and which society does not allow us to express.
Jacques Lecoq
Channing è stato definito dal critico e curatore Alberto Masoni come “uno degli artisti che riesce a fondere o fondere al meglio le esperienze artistiche del teatro, del mimo, della musica e delle arti visive”.
Improvvisamente l’incontro con Castelvetro. Due sedie, un piccolo tavolo in un pomeriggio di gennaio e le parole mie e di Chris. Conoscersi e provare a capirsi. Di un paese che mi ha vista nascere e di un paese che nel 1994 ha conosciuto la sua arte. Castelvetro: terra di vino e di vini, terra di popolo e aratri. Ma non solo: terra amata, scelta e prescelta anche da chi arriva da lontano. Anche da Chris Channing.
E quindi Chris, nato a Preston nel Lancashire, cosa ti ha portato nella piccola provincia modenese?
Credo un colpo di fortuna e al contempo “un colpo di paura”. Ero a Parigi a studiare alla Scuola internazionale di teatro Jacques Lecoq.
Jacques Lecoq è stato un attore teatrale, mimo e pedagogo francese. Fondatore della Scuola Internazionale di Teatro “Jacques Lecoq” di Parigi, è considerato uno dei più significativi pensatori del teatro contemporaneo, noto per i suoi studi sul teatro fisico, per il recupero della maschera, del coro greco e gli insegnamenti della Commedia dell’Arte. La pedagogia di Jacques Lecoq è basata sulla dinamica del movimento; il corpo è il primo elemento di riconoscimento della vita, partendo dalla riproduzione di tutto ciò che si muove, portando la vita in teatro. “È insegnando che ho scoperto che il corpo sa cose che la testa non sa ancora”, così scrisse Jaques Lecoq, è stato fra gli altri il maestro di Dario Fo.
Lavoravo in strada per pagare la scuola che frequentavo e la casa in cui abitavo. Venni notato da un ragazzo che lavorava all’organizzazione della prima edizione del Mercurdo(Mercatodell’Assurdo che si tiene a Castelvetro ogni due anni, ndr) e che mi ha invitato a venire a fare due performances. Arrivai. Era giugno: c’era il sole, c’era il vino, c’era atmosfera, energia, artisti. C’era tutto. I ragazzi dell’organizzazione mi chiesero di rimanere, mi proposero di trovarmi un lavoro e una casa. Che fare? Stavo finendo la scuola a Parigi e probabilmente sarei rientrato a Londra, e a Londra sarei diventato uno dei tanti, tantissimi disoccupati. Un numero anonimo. Qui a Castelvetro invece mi si proponeva un presente e un futuro. Quindi decisi, risposi sì. Resto.
E sei restato, ancora oggi. Ancora adesso. Qui la vita quotidiana; e il lavoro, dove? Lavori principalmente in Italia o all’Estero?
In Italia lavoro principalmente come componente di progetti di altri, come danzatore o mimo ad esempio. Per pagarmi da vivere, da mangiare. All’estero vado con i miei progetti anche se attualmente ciò che faccio più spesso è “amministrazione”. Mi esibisco raramente e quando lo faccio, se posso, scelgo l’arte pura, anche se è più difficile averne la possibilità. Collaboro come modello con Davide Conti e il suo “modern paints“.
Davide Conti, nasce nel 1970 a Bologna dove frequenta l’Istituto d’arte e l’Accademia di Belle Arti, diplomandosi nel 1993 in pittura. I suoi lavori sono un connubio di costante contaminazione tra la pittura, le arti figurative, il graphic design e la fotografia. Di recente ha scelto Misano Adriatico come base di lavoro, ma senza dimenticare la sua Bologna. Ha esposto le sue opere in molte mostre, collettive e personali. Con il progetto Modern Paints la storia dell’ uomo viene raccontata in una lunga narrazione che ci pone davanti all’essenza dell’essere umano, alla sua potenza, alla sua grandezza ma anche alla sua debolezza, ai suoi lutti e ai suoi travagli. I Modern Paintings ci offrono una vera e propria illustrazione della contemporaneità attraverso un ricco vocabolario di simbologie, rimandi, conoscenze visive e tecniche.
Faccio il mimo, sono danzatore della modenese Parola Bianca e del suo progetto Invasioni Lunari (È maestro di cerimonie – e collaboratore di messa in scena – ogni anno al Ballo del Doge a Venezia. È stato maestro di cerimonie alla festa per il 70o compleanno del tenore Luciano Pavarotti, ndr). La mia è: 90% arte commerciale e 10% arte pura da cui non si guadagna nulla. Non c’è molta ricerca del nuovo attualmente nel campo dell’arte. Paradossalmente c’è più tendenza all’esplorazione in spettacoli di arte di strada, non parlo di giocolieri o monociclisti, nell’installazione, nell’idea, nella sperimentazione. L’ho visto e vissuto molto sviluppando certi costumi, progetti, performances e arte all’aperto. Ecco, chiamiamola arte all’aperto piuttosto che arte di strada. Io ho una visione distopica della realtà, un po’ Felliniana, un po’ Tim Burton, un po’ Guillermo del Toro. Per la verità sto anche progettando il mio futuro e prevedo di ritirarmi a Edimburgo. Mi vedo già come il vecchio e strano seduto all’angolo di un negozio di abiti vintage sistemati da me. Sono anche costumista. Vorrei fare più performance e arte con il mondo delle belle arti, dovrei essere preso da qualcuno ma non ho mai avuto gli agganci giusti. Ora è tardi. Non vado a bussare alla porta della galleria White Cube o della Biennale di Venezia “ciao, sono Chris Channing guardi il mio curriculum“. Ma se nella tua vita hai fatto arte commerciale ti sei compromesso, non sei più puro. Sarebbe paradossalmente stato quasi meglio lavorare in un bar.
Prendiamo ad esempio Philippe Glasse. Un’artista straordinario che ha avuto moltissime sue liriche montate al Metropolitan di New York ma nella sua quotidianità aggiustava lavatrici. Se avesse invece vissuto di piano bar non avrebbe mai avuto la possibilità di vedere le sue liriche messe in scena il un luogo così importante. Puoi essere capace di creare arte ma per “sopravvivere” il tuo destino diventa l’artistico. Di artistico oggi si può vivere – di arte molto meno.
Qual è principalmente il tuo pubblico ?
Per quanto riguarda l’arte commerciale vengo contattato per eventi di diverso genere. Le persone vogliono vedere cose che conoscono e cose tradizionali. Non sorprende questo se guardiamo i grandi dell’arte italiana come i compositori, gli scultori, i pittori. Sono veramente pochi quelli che sperimentano. Pensiamo al Futurismo, anche loro fecero piccoli passi poiché recuperavano idee, concetti e materie di dieci o venti anni prima.
Diverso invece il discorso relativo alle performance d’arte contemporanea. Le possibilità per me di farle sono rarissime ma quando accade il pubblico è completamente diverso. Poterle fare significa esibirsi circondato da un pubblico di già “convertiti” o comunque circondato di persone con cui già si parla la stessa lingua, si canta lo stesso spartito, si sventola la stessa bandiera. Chi è curioso e chi se ne va dopo pochi secondi. Anche al Mercurdo a Castelvetro ho proposto e visto cose forti e molto contemporanee. Poi dipende dal contesto: la mia lavatrice se la metti in una galleria d’arte diventa un’opera. Contesto e occhio di chi guarda. È per questo che esistono i luoghi giusti e deputati come le gallerie d’arte, luoghi in cui le persone già convertite possono andare. La stessa cosa proposta in una galleria se lasciata su un tavolo di un bar non è arte. E lo comprendi perché una volta che hai gli occhi aperti vedi tutto.
Cosa ne pensi delle performance d’arte contemporanea oggi?
Oggi non c’è differenza da 10 anni o 50 anni fa. La differenza la fa l’artista, che cambia. Matura. Vedi ad esempio Marina Abramovich, ha introdotto i costumi, fare le prove, ripetere. Fare prove è una cosa che sicuramente non avrebbe fatto all’inizio.
Qual’è lo stato dell’arte di strada oggi in Italia?
Sinceramente, in giro vedo un sacco di robaccia che non vale nulla però ai festival più importanti ci sono artisti estremamente bravi che escono dalle celebri scuole di Torino. Torino oggi è la capitale della scuola di circo, ci sono tre scuole di altissimo livello e una di teatro fisico di un allievo del mio maestro Jacques Lo Quoc.
Segui i giovani che si stanno avvicinando a questo mondo?
Nel campo del teatro principalmente li seguo all’estero. C’è una bella energia in alcuni stati europei come la Germania, la Francia e la Spagna. In America nulla di interessante. Gli Stati Uniti invece fanno molta ricerca nel teatro danza, il Belgio nella musica classica contemporanea, e sono sicuramente all’avanguardia dagli anni sessanta.
Dopo tanti anni che vivi in Italia, a Castelvetro, hai visto cambiata questa piccola provincia?
Castelvetro? L’Italia non cambia. Cosa cambia in Italia?
Prendiamo l’arte, gli italiani amano moltissimo l’arte ma odiano gli sviluppi, i cambiamenti, le novità, il progresso. Giacomo Puccini faceva più o meno quello che faceva Giuseppe Verdi e prima di lui Gaetano Donizetti. Michelangelo faceva ciò che facevano i romani e Canova faceva ciò che aveva fatto Michelangelo. Si vede che c’è voglia di ciò che si conosce già. In Italia c’è Sanremo, c’è una forte politica di sinistra, in piccoli angoli c’è voglia di una politica reazionaria. La destra cresce, la destra muore, la destra cresce, la destra muore. Ci dimentichiamo cosa è successo l’ultima volta, ci si dimentica che il mondo è popolato da Italiani. Prima di mandare a casa chi è immigrato qui facciamo tornare tutti quelli che sono andati all’estero, anche se forse non sarebbe nemmeno una bella soluzione. “Non vogliamo questi immigrati” sento ripetere, ma sono italiani e sono stati fortunati perché quando sono andati all’estero nessuno li ha mandati a casa. Non è stato facile per gli italiani emigrare, sono stati trattati male, sono stati emarginati ma alla fine ce l’hanno fatta e là hanno costruito la propria vita. Fuori dai vostri confini gli è stata data un’opportunità. Un futuro. E ricordiamocelo: vogliamo tutti lo stesso, stare meglio.
Vogliamo tutti lo stesso, stare meglio. E fa il modesto Chris quando racconta e si racconta. Parlare con lui è come acqua fluida, acqua che scorre. Energia, cura, impegno. Chris che per un colpo di fortuna e un colpo di paura si è trovato tanti anni fa a condividere albe e tramonti lungo i filari del Grasparossa. Attraversare stati e oceani con la consapevolezza di un piccolo luogo ad attenderlo.
Il mondo dentro e il mondo fuori. Vivere, viaggiare e aprire gli occhi. E Chris ci lascia questa bellissima idea di presente: “Una volta che hai aperto gli occhi, vedi tutto“.
Già, tutto.
Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.
Cesare Pavese