Come abbiamo avuto modo di approfondire nelle precedenti interviste su MoCu, il periodo di sospensione che stiamo vivendo ha colpito duramente tutto il settore della cultura. Una cultura che si è scoperta fragile ma estremamente tenace al tempo stesso. L’arresto forzato ha costretto tutti gli addetti della cultura ad analizzare sé stessi ed il proprio lavoro, a cercate di non lasciarsi sopraffare dall’ansia, a “reinventarsi” per così dire.
Oggi ho incontrato Luca Perciballi, uno dei più virtuosi musicisti del panorama modenese. Chitarrista e compositore di ricerca, è il vincitore di importanti premi come il Premio Italian Young Jazz Graffiti (nuovi solisti del jazz Italiano) nel 2012, della seconda edizione del Premio Internazionale Giorgio Gaslini nel 2016. Nel 2017 è in residenza artistica come compositore presso il Centro di Ricerca Tempo Reale di Firenze nell’ambito del progetto FLUX. Nel 2018 torna al Tempo Reale come vincitore del bando Audiovisioni Soundscape con l’opera audiovisiva Another Dream in town.
Nel 2019 è vincitore di una residenza KATE presso Tempo Reale durante la quale ha realizzato il nuovo lavoro discografico di Fragile. Nello stesso anno è selezionato per il bando Autobiografie Strumentali per lavorare con Alessandro Bosetti: il frutto del lavoro, Didone, sarà pubblicato nel corso del 2020. Sulla fine del 2019 è compositore in residenza presso l’Institute Culturel Italienne di Parigi, dove ha prodotto un lavoro elettroacustico, insieme al pianista e compositore Francesco Orio, a partire dalla musica antica della Scuola di Notre Dame e il canto gregoriano. Nel 2019 alcuni dei cortometraggi di cui ha composto la colonna sonora ricevono menzione al festival di Berlino e quello di Roma.
L’analisi del momento storico in cui ci ritroviamo non poteva non interrogarsi anche su figure come la sua, che di musica e di lezioni ci vive.
L’intervista
Qual è la prima cosa che hai pensato dopo i decreti di marzo e la chiusura di ogni evento culturale?
Penso che la mia reazione come semplice cittadino sia stata molto simile a quella della maggioranza della popolazione: un poco di sgomento, un poco di paura immotivata, quasi brutale nel suo manifestarsi e un senso di spaesamento dovuto alla mancanza di informazioni. Mi sembra abbastanza palese che la mancanza di certezze, di stabilità anche nella disgrazia, siano il principale colpevole dell’insorgere di paure.
Come lavoratore dello spettacolo, performer e agitatore culturale ho pensato immediatamente: è finita! Il mio settore e la mia carriera personale e professionale hanno subito un duro colpo nel giro di circa 10 secondi dall’emanazione del decreto: di colpo ho dovuto annullare due tour, uno in Italia e uno in Francia, e ho visto il fertile periodo concertistico svanire davanti ai miei occhi; nel giro di qualche giorno anche le mie attività di insegnamento sono state sospese. Mi sono trovato parzialmente disoccupato e immediatamente ho iniziato a confrontarmi con colleghi che avevano subito lo stesso destino. Al di là dei disagi personali, la mia mente ha da subito analizzato con un certo livore come tutta la costruzione sociale, personale, economica, ma anche psicologica che si è configurata nel tempo per legittimare l’esistenza del mio settore lavorativo sia molto fragile, effimera quasi. Il lavoro in campo artistico e performativo sarà certamente compromesso per moltissimo tempo e sono troppo pessimista per potermi aspettare delle risposte istituzionali degne di nota. Mi limito ad osservare questa fragilità all’interno del mio orticello di competenze e obblighi lavorativi, dove posso avere un’opinione degna di questo nome, pur essendo cosciente che molti aspetti del nostro vivere sociale potrebbero passare al vaglio delle stesse riflessioni.
Quale è stata la tua reazione e quale strategia hai pensato di adottare ?
In questo caso la situazione è in evoluzione: l’evento di cui siamo tutti protagonisti è troppo complesso per poter essere elaborato con un una risposta univoca e certa.
In una prima fase ho reagito con una certa rabbia, scottato dalle delusioni personali e dalle preoccupazioni reali per la mia stabilità lavorativa, proclamando con le persone vicine che non ci saremmo dovuti fermare, che la musica non può stare in silenzio, che l’arte non si ferma, che noi musicisti avremmo dovuto mostrare presenza costante per manifestare il nostro disagio.
Ho cambiato idea nel giro di qualche giorno, sconvolto dalle prime reazioni della collettività: in uno scenario che dovrebbe prevedere un silenzio quasi rassegnato, le città deserte, le persone ritirate nel privato, ho percepito un clamore assordante! Quanto rumore fa, in realtà, questo silenzio?
Chiunque ha un’opinione, chiunque inizia a cantare, suonare, recitare, dipingere sui social. Le manifestazioni pubbliche sui balconi! Capisco le naturali risposte “di pancia” alla paura, capisco il bisogno di surrogati di aggregazioni, capisco il terrore di fronte al silenzio vero, quello che pone domande, ma è questo l’unico modo di reagire? Il livello culturale condiviso è tale da non saper dare altri tipi di risposta?
Di conseguenza mi sono ritirato nello spazio più privato che potessi concepire: quello dell’esercizio spirituale, quel tipo di attività (non religiosa) di ordine discorsivo, razionale o immaginativo che sia, destinata a modificare il modo di vivere e vedere il mondo. Una meditazione continua su me stesso condotta attraverso l’ascolto, quello vero, di me, delle mie esigenze. L’attuazione di questo processo passa attraverso il perseguire semplici abitudini: alzarsi regolarmente per lavorare, immaginare costantemente, praticare un po’ di sport in casa, curare con calma ogni aspetto della vita quotidiana e leggere. Mi piace sempre ricordare l’aneddoto su Nadia Boulanger, l’insegnante dei maggiori compositori europei ed americani del secondo 900, che biasimava gli studenti non presenti a lezione durante i moti di Parigi, con la città in fiamme, dicendo con estrema serietà “La musica non si deve fermare; biasimo chi non è qui a compiere il proprio lavoro”.
Ci sono state reazioni da parte del tuo pubblico e dei tuoi studenti?
Intanto parlare di pubblico per un settore “di nicchia” come il mio è sempre qualcosa di molto relativo. Diciamo che io e molti miei colleghi abbiamo costruito negli anni un rapporto con le persone tale che a qualcuno interessano le sorti delle nostre produzioni. Devo dire che sia tra gli appassionati che tra i miei studenti ho visto più la paura per sé stessi che per le sorti di qualsiasi altra cosa: tutti stanno cercando una via di stabilità in una situazione eccezionale. Ho riscontrato con curiosità come nessuno capisca la portata del danno al settore artistico: quando, durante le discussioni, cerco di spiegare le difficoltà, le fragilità citate prima e le catastrofiche eventualità in cui noi operatori in campo artistico potremmo trovarci in un futuro molto prossimo, nessuno sembra capacitarsene. Questo è indice di come il mio lavoro sia vissuto come qualcosa di iniziatico, scollegato dalla normale società civile, un mondo a parte, un po’ magico, che nulla ha a che vedere con la vita delle persone “comuni”.
Questo non può che farmi riflettere sulle mie ed altrui colpe. Non so ancora se proporrò attività che necessiteranno di una risposta diretta di un pubblico (vendita del mio catalogo discografico o partecipazioni ad eventi online ) ma nel caso vedrò cosa succederà. Sono ottimista sul fatto che le persone siano affamate di accadimenti che le facciano pensare, nonostante tutto.
Pensi che una strategia comunicativa studiata possa portare dei vantaggi in situazioni di emergenza come questa?
Annosa questione che mi vede gettare la spugna: rivendico ancora il diritto al silenzio, alla contemplazione, almeno per un po’. In una società come la nostra in cui il processo comunicativo è in primissimo piano, addirittura mercificato, penso sia importante imparare a concedersi poco.
Un’intervista come questa è la giusta eccezione perché viene condotta in un contesto normato e molto serio, ma non si può dire della maggioranza delle esperienze che facilmente ci vengono sottoposte, sui social network in primis. Penso sia compito della stampa e delle agenzie di comunicazione occuparsi di strategie comunicative. Noi musicisti siamo tali perché pensiamo, agiamo attraverso la musica: un luogo meraviglioso che ha regole diverse.
Questa occasione ti ha dato modo di sviluppare nuovi punti di riflessione? Personali, artistici e di studio.
Penso sia inevitabile, no?
Innanzitutto sono rassicurato dall’avere trovato conferma di un concetto molto semplice: le cose importanti non cambiano mai. Mi alzo ancora tutti i giorni per studiare, scrivere o progettare: l’entusiasmo non è sceso se non per qualche giorno di assestamento. Non ho bisogno di distrarmi, stimolarmi perché sono immerso in qualcosa che mi dà linfa vitale ogni giorno, se solo mi sobbarco la fatica di ascoltarlo. Nello specifico, essendo passato da troppi impegni a troppo pochi, sto producendo molta musica nuova, completando lavori che avevo nel cassetto da tempo; dedico almeno 5 ore della mia giornata alla scrittura di musica nuova. Il rapporto con il mio strumento si sta arricchendo di nuove sfumature: in questi giorni sto elaborando alcune nuove strategie di visione della pratica strumentale che approfondirò nelle prossime settimane, non appena avrò completato un ciclo di scrittura; tutti questi spunti confluiranno in un libro che inseguo da anni e sarà un vero e proprio manuale strumentale.
Come consiglieresti di passare questo periodo in cui non si possono frequentare luoghi di aggregazione (letture, ascolti, visioni, attività)?
Al di là dei consigli della nonna (stabilire una routine, mangiare sano, praticare attività fisica) penso che questo sia un momento fertile per ragionare su noi stessi e sul nostro modo di relazionarci: poche volte potremo vivere il lusso, anche se a caro prezzo per alcuni, di avere il tempo per l’autoanalisi. Penso che l’unico errore possibile sia cercare dei surrogati stupidi in una socialità che non si può avere o attendere che tutto passi per riprendere la propria vita esattamente come prima, come se niente fosse successo. Che il periodo sia foriero di cambiamenti!
Consiglio a tutti di alternare intrattenimento puro e semplice (serie Tv, videogames, vagabondaggio sui social) alla fruizione di cose più complesse, che richiedono il tempo che ora quasi tutti abbiamo a disposizione. Libri, cinema, dischi! Mi permetto di includere una lista di tre titoli per categoria, piccolo gioco mensile che pratico con i miei studenti.
Musica
Franz Schubert – 4 Impromptus op. 90 D.899: piccoli brani pianistici di un gigante della musica Occidentale, non troppo difficili da fruire, una mia passione da sempre.
Bob Dylan – The basement session: c’è bisogno di commentare?
Paul Motian Trio – It Should have happened a long time ago: il primo disco ECM (credo) di un trio del cuore, con tre giganti al massimo della loro forma.
Libri
Leggete poesia!
Il mio cuore consiglia la raccolta completa di Paul Celan.
Ludwig Wittgenstein – Pensieri Diversi: una raccolta di aforismi molto divertente ed illuminante.
Erik Satie – Quaderni di un mammifero: un musicista atipico scrive in modo arguto e divertente. Leggero ma non troppo!
Cinema
In tempi di condivisione gratuita openculture.com ha messo online tutta la filmografia di Tarkovskij.
Alla stessa maniera un documentario su Miles Davis – Birth of the Cool è disponibile gratuitamente.
Guardate i film vecchi, quelli in bianco e nero; concepiti con un senso ancora teatrale, hanno bisogno di un po’ di tempo.
Si può fare cultura senza uno spazio pubblico, senza il vissuto fisico delle persone?
Ah, il rapporto con il pubblico! Spesso si pensa di poterne fare a meno, spesso è deludente e frustrante e un momento come questo ne dimostra l’estrema necessità. La questione è complessa da molti punti di vista: in primis la definizione di un prodotto artistico passa da tanti stadi, attraverso tanti processi ed uno di questi è il rapporto con la società e quindi con il pubblico. L’altro importantissimo aspetto è quello proprio delle arti performative come la musica, che necessitano del luogo pubblico per accadere e di un ricettore per stabilire uno scambio virtuoso.
Uno dei miei mentori, Lawrence Butch Morris, ha chiamato il suo metodo di direzione orchestrale Conduction, un termine preso dalla fisica che indica lo scambio di energia, il suo passaggio in un anello di agenti. Nel performativo lo scambio avviene fra gli esecutori, il direttore, se presente, e il pubblico: gli spettatori non sono mai ricettori passivi di un qualcosa calato dall’alto ma bensì parte attiva di uno scambio comunicativo.
Raccontaci a cosa stavi lavorando e cosa avremmo ascoltato.
Mi permetto di prendere un po’ di spazio per rispondere perché questa fermata forzata è arrivata in un momento estremamente produttivo ed impegnato per me.
Il progetto principale che avrebbe debuttato il 27 Marzo è il mio nuovo trio Organic Gestures, con due musicisti straordinari come Andrea Grossi e Andrea Grillini, un progetto che mi vede tornare alla prediletta formula del trio dopo tanti anni.
Bloccato un tour e registrazione del disco di Nuit, gruppo del contrabbassista e compositore Roberto Bonati, con Gabriele Fava al sax e Anthony Moreno alla batteria, un gruppo eccezionale di musica estremamente interessante.
È appena uscito l’ultimo lavoro di Fragile, il mio duo con il pittore Mattia Scappini, per la Tempo Reale Collection (e registrato in residenza a Tempo Reale); Il tour è ovviamente rimandato.
Di prossima uscita sono anche il mio duo di chitarre con Giorgio Casadei, immenso musicista ed amico, e un lavoro con un’altro gigante quale Ivan Valentini in cui commentiamo le poesie di Bertoni e Trebbi.
In fase di missaggio il disco della mia orchestra, registrato dal vivo quest’estate al Castello di Spezzano, così come il lavoro Vox Organalis, realizzato lo scorso Dicembre insieme a Francesco Orio durante una residenza all’Istituto di Cultura Italiano di Parigi.
Continuo a lavorare a moltissima musica e ad alcune installazioni: di questi giorni è l’idea di alcuni piccoli commenti sonori alle poesie di Celan.
Rimandate anche le presentazioni del nuovo disco dei Fargas (band capitanata dal grande Luca Spaggiari in cui sono entrato l’anno scorso) e dell’imminente disco di Davide Falcone, giovane cantautore modenese, di cui ho anche curato arrangiamenti e produzione.
Nella speranza che tutto sia solo rimandato, trovo molto importante non fermarsi mai: ritengo necessario perseguire una piccola utopia quale la creazione musicale; un oggetto fuori dalle regole del consueto che, per avere valore, deve essere inutile, commercialmente esangue, privo di un fine che non sia quello di esistere. Vedremo cosa ci riserverà il futuro.