L’ultima Notte, per la regia di Francesco Barozzi, è un’opera totalmente indipendente e autoprodotta, girata in poche settimane e con un budget quasi inesistente. Un “piccolo” film ambientato a Modena che sta raccogliendo riconoscimenti importanti e sta partecipando a diversi festival italiani e internazionali
Inserito nella sezione AfterHours della 36esima edizione del Torino Film Festival, L’ultima Notte è ispirato a un fatto di cronaca realmente accaduto che ha alimentato una serie di domande cui il regista ha cercato di dare risposta in questo racconto in bilico tra thriller e noir, dove i protagonisti sono imprigionati in una desolazione umana senza via di ritorno alcuna. L’opera terza di Francesco Barozzi mostra come la soglia tra il bene e il male non sia così scontata da individuare e che il marcio e l’orrore si annidano nel quotidiano, il più delle volte tra le mura di casa così piene di zone d’ombra che normalmente non si notano.
L’ULTIMA NOTTE
Soggetto e Sceneggiatura Francesco Barozzi e Luca Speranzoni
Direttore della fotografia Nicola Xella
Musiche Luca Perciballi
Scenografia e Costumi Emanuele D’Antonio
L’ultima notte è la storia di Bea (Beatrice Schiros), una donna in crisi che dopo tanti anni si vede costretta ad abbandonare la città per fare ritorno nella casa di campagna in cui è nata, e dove il fratello e la sorella vivono ancora in condizioni degradate. Insieme alla sorella Emi (Francesca Turrini), si occupa degli animali e delle piante della cascina, mentre Franco, il fratello, lavora in un allevamento della zona. Quando la donna li invita a modificare il loro stile di vita, entra in conflitto con Franco (Giuseppe Sepe), svelandone la natura violenta e collerica. Bea scopre che fratello e sorella, pur diversi fra loro, condividono le stesse ambigue inclinazioni e più di un segreto. E che quello più pericoloso pulsa ancora.
Per MoCu Magazine ho avuto il piacere di rivolgere alcune domande a Franke in occasione della speciale proiezione evento in programma questa sera al Cinema Astra.
Qui l’evento Facebook con tutte le info > L’ultima notte proiezione evento al Cinema Astra
Vi consiglio di non perderla, perché questo film è un lavoro che con coraggio si è fatto spazio tra logiche produttive rigide e consolidate e con grande sforzo creativo ma pochissime risorse, è riuscito ad attirare l’attenzione di una critica cinematografica riconosciuta e, fortunatamente, sensibile.
Il film nasce da un fatto di cronaca realmente accaduto nel 2012 a Modena. Si può dire quindi che L’Ultima Notte sia una storia vera?
Diciamo che è ispirato ad una storia vera. Se il pubblico crede che qualcosa sia basato su un evento reale, questo ti consente di fare cose che altrimenti non sarebbero accettate. Non è prendere in giro i propri spettatori, ma un “consapevole trucco”, alla base del quale sta la ricerca di una maggiore libertà narrativa. Talvolta è un po’ una paraculata. In ogni film c’è sempre una scena o qualche battuta wtf, ma se all’inizio hai letto che è una storia vera, lo accetti più serenamente.
Cosa ti ha spinto a volerla raccontare?
All’epoca, la vicenda, che ebbe luogo in un malmesso casolare dell’hinterland, suscitò clamore per le modalità dell’omicidio e per quanto emerse sulle condizioni di vita della famiglia coinvolta. Quindi attirò da subito anche la mia attenzione: ma com’era possibile che a pochi minuti dal centro storico, dai negozi e i ristoranti, potesse esistere ancora una realtà come quella? Le domande pian piano si sono moltiplicate, ma alla maggior parte non riuscivo a dare una risposta sensata. Per questo ho voluto raccontare questa storia. Per cercare di darmi delle risposte.
Quali sono gli aspetti e i retroscena organizzativi e produttivi legati a questa scelta artistica?
Io scrivo da sempre solo ciò che è producibile. In questo caso avevo accesso a due location, potevo disporre di tre bravi attori e allora ho scritto “L’ultima notte”. Abbiamo girato nel poco tempo libero con una troupe di pochissime persone. Può sembrare romantico, ma in realtà è sempre durissima lavorare così.
Intorno ai personaggi aleggia un’aria di assoluta inquietudine, e uno dei temi cardine del film è il male. Qual è la tua personale idea su questo tema e come la riporti in scena?
Le storie in cui il male non viene rappresentato in una separazione rigida dal bene mi piacciono molto, quelle in cui non viene detto se davvero un male e un bene ci siano, ma siamo noi a doverlo giudicare, se ne abbiamo voglia. Le storie che ci restano dentro sono quelle che spostano, anche solo di un poco, la nostra percezione del mondo, per cui scopriamo di poterci identificare con psicopatici, assassini, stupratori. Ho provato a fare questo, soprattutto nella costruzione dei personaggi e del loro rapporto.
Volevo un film con una messa in scena ricca di tutte le componenti del cinema che più mi interessano, quindi di regia, di fotografia, di musica. Tentare di mantenere il livello di tensione del racconto il più alto possibile rimane sempre la sfida più interessante. È seccante quando ti senti dire “bello da vedere, ma è un po’ pesante”. La sfida era trovare il giusto equilibrio fra “visione” e “tensione”. E, secondo me, pur con tutti i suoi limiti, ne è uscito un film che sostanzialmente lo rappresenta.
Come nasce la scelta di autoproduzione? Se di scelta possiamo parlare.
Più che scelta è un’alternativa. Un’alternativa al nulla. In realtà produttive come la nostra, il punto è: scrivere un film che non potrai realizzare e quindi rinunciare o fare con quello che c’è e si può avere a disposizione? Io ho sempre rifiutato le passività, l’accettazione di dinamiche e logiche produttive consolidate. Ho sempre creduto in un approccio, un modo di lavorare che impone consapevolezza e responsabilità produttiva fin dalle prime fasi della scrittura. L’idea nasce libera, nella mente, ma arriva il momento in cui deve fare i conti con la realtà. Se non ho risorse economiche ciò che ho intorno a me, è tutto ciò su cui posso contare. Il resto, ciò che richiede uno sforzo eccessivo e che mi allontana dalla realizzazione, devo ripensarlo, trasformarlo a mio vantaggio.
Il film ed è arrivato fino al Torino Film Festival. Qual è stata la reazione a questo importante riconoscimento?
Il TFF è stata una sorpresa incredibile, sicuramente un punto di partenza. Non immaginavo che ci fosse una voglia così forte di rispolverare un certo genere di film e devo dire che l’entusiasmo che abbiamo trovato ci ha convinto a proseguire su questa strada. Là c’è grande interesse e fermento intorno al cinema e alle sue nuove proposte. Qui, purtroppo, sempre e solo indifferenza. Ma questo non ci fermerà. Lavorando bene, anche se il tuo film è fatto in casa, puoi avere la fortuna di essere selezionato nei festival più importanti del paese.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
In questo momento stiamo lanciando un corto girato negli scorsi mesi, una dramedy con Elena Cotta e Beatrice Schiros. Poi fra un paio di mesi ne giriamo un altro, una commedia che aprirà la prossima edizione dell’Ennesimo Film Festival e che vedrà protagonisti fra gli altri Giuseppe Sepe e il grande Renato Scarpa. Progetti futuri ce ne sono tanti, le idee sono le uniche a non mancare. Sicuramente non vediamo l’ora di cominciare un nuovo lungometraggio e continuare per la strada intrapresa con “L’ultima notte”.
E se le idee sono le uniche a non mancare, lo sarà altrettanto la mia curiosità nel seguire da vicino questi nuovi e interessanti progetti. A presto.