Ci piacerebbe un giorno arrivare alla creazione di un’opera “completa” da portare in tour. Nei prossimi anni lavoreremo in questa direzione.
Con queste parole terminava, circa 3 anni fa, il primo incontro tra MoCu e fuse* (a questo link è disponibile la versione online del settimo numero cartaceo di MoCu. A pagina 4 potete trovare l’intervista di Davide Miserendino a Mattia Carretti, direttore artistico e fondatore di fuse* insieme a Luca Camellini).
Oggi ritroviamo Mattia alla vigilia della prima mostra personale di fuse* negli Stati Uniti, che inaugurerà alla Artechouse di Washington, DC il 17 gennaio.
fuse* è uno studio ed una compagnia di produzione indipendente fondato nel 2007 che opera nell’area di incontro tra arte e scienza con lo scopo di esplorare le possibilità espressive date dall’uso creativo delle tecnologie digitali emergenti.
Sin dalle origini la ricerca dello studio ha avuto come obiettivo primario la creazione di installazioni e performance multimediali capaci di coinvolgere profondamente il pubblico amplificando l’impatto emotivo della narrazione. Nel corso degli anni lo studio si è evoluto con l’intento di realizzare opere in grado di ispirare le persone, spostare i confini e cercare nuove connessioni tra luce, spazio, suono e movimento.
Se a qualcuno, ancora, il nome non dice tanto forse sarà d’aiuto, a chi segue MoCu da tempo, citare una nostra conoscienza: NODE (qui, tutte le volte che ve ne abbiamo parlato), di cui fuse* è co-produttore dal 2016.
Come anticipato, Everything in Existence è la prima mostra personale di fuse* negli Stati Uniti e comprende alcune delle opere più significative tratte dalla produzione decennale dello studio artistico italiano, che ha come casa Modena. Questa mostra traccia una linea che attraversa e unisce le diverse fasi che hanno caratterizzato questo percorso con quattro installazioni multimediali che portano il pubblico a sperimentare diverse percezioni di realtà, nuovi punti di osservazione per sentirsi parte di qualcosa di più grande. Sentirsi parte di tutto ciò che esiste.
Le opere presenti in mostra sono generate da software che elaborano dati in tempo reale, siano essi ricavati dall’interazione con lo spettatore (Snowfall), dai social networks (Amygdala), dal suono (Clepsydra) o dal software stesso (Multiverse).
fuse* crea così un’arte “viva” che si rinnova costantemente in modo sempre diverso stabilendo un rapporto di grande intimità con lo spettatore. Da una parte l’uomo, in tutta la sua vulnerabilità, e dall’altra una presenza misteriosa, estremamente vasta, incomprensibile e affascinante che spinge verso l’ignoto, oltre i limiti del mondo conosciuto.
Ciao Mattia. Parliamo della prima personale di fuse* in America, a Washington, DC. Come vi sentite e perché avete scelto proprio questa città?
Siamo molto contenti di avere un’opportunità simile ed è bello che accada proprio all’inizio dell’undicesimo anno di vita del nostro studio. Si tratta solo di date e numeri, ma per noi hanno un significato importante pensando a come abbiamo iniziato, senza aspettative ma allo stesso tempo senza porci dei limiti, mossi semplicemente dalla volontà di fare quello che amiamo, farlo onestamente e condividerlo con più persone possibili. Veniamo da 10 anni molto intensi e meravigliosi. Consideriamo questa mostra non come un punto di arrivo ma come nuovo punto di partenza e non vediamo l’ora di scoprire cosa ci aspetterà nei prossimi 10.
La mostra sarà a Washington in uno spazio espositivo che si chiama Artechouse, relativamente nuovo ma che ha già ospitato diverse mostre di studi e artisti che lavorano all’intersezione tra arte e ricerca tecnologica. Hanno un progetto molto interessante che ci ha affascinato a che ci è subito sembrato in armonia con la nostra visione. Crediamo che da qui potranno nascere ulteriori collaborazioni nei prossimi anni visto che è in programma l’apertura di altre sedi Artechouse in diverse città Americane tra cui New York.
Parliamo di una mostra che ha poco a che fare con la classica galleria e le opere disposte lungo un percorso. Forse sarebbe meglio parlare di un’esperienza da vivere: come si struttura Everything in Existence e come è stata concepita?
Si, effettivamente abbiamo lavorato a questo progetto con l’idea di permettere alle persone di muoversi nello spazio e immergersi in singole esperienze connesse e in armonia tra loro.
Non esiste un reale percorso, non c’è un ordine e non esiste un inizio e una fine: è come immergersi in un flusso che sta scorrendo ed entrare a farne parte fino a quando non si decide di riemergere. Lo spazio è sempre un punto di partenza che ti pone dei vincoli ma che allo stesso tempo ti ispira. Un tempo, la sede Artechouse a Washington era un teatro interrato ed ancora oggi, per raggiungere gli spazi espositivi, bisogna scendere sotto terra. Forse anche per questo motivo la metafora della immersione e della emersione ci ha attratto e ci ha guidato durante il concepimento della mostra.
Multiverse, Amygdala, Clepsydra e Snow Fall sono le 4 installazioni che compongono la mostra: quali sono le loro caratteristiche e cosa le unisce?
Abbiamo sempre cercato di realizzare progetti in grado di entrare in empatia con le singole persone ma, allo stesso tempo, in grado di generare un senso di comunità e condivisione. Credo sia questo uno dei fili che mette in connessione tutte le opere. L’altro filo è suggerito dal titolo: “tutto ciò che esiste”. Da sempre, infatti, siamo stati ispirati dal rapporto tra l’essere umano e tutto ciò che esiste; questo è un tema che abbiamo esplorato sia con le installazioni ma anche con le performance e in particolare con Dökk.
Questi due fili sono particolarmente intrecciati in due delle quattro installazioni:
Multiverse è un progetto che è stato concepito per la prima volta nella Chiesa sconsacrata di Borgo delle Colonne a Parma, sede della dalla Galleria Bonanni Del Rio Catalog. La chiesa come luogo sacro è uno spazio in cui le persone si recano per una ricerca spirituale intima, ma dove al contempo si condivide la propria esperienza spirituale con altre persone. Questa idea ha poi dato il via allo sviluppo del progetto che ha mantenuto fino alla fine nelle atmosfere questo senso di meditazione che accompagna fuori dallo spazio fisico in cui ci si trova.
In Amygdala invece il punto di vista è rivolto alle emozioni condivise, cercando di rappresentare e visualizzare lo stato emotivo globale attraverso l’analisi sentimentale fatta in tempo reale dei messaggi condivisi dalle persone sui social network (twitter in particolare). Anche in questo caso l’idea è di osservare l’umanità come un unico grande organismo all’interno del quale le emozioni cambiano, influenzate dagli eventi che accadono nel mondo.
Quale e quanto lavoro c’è e c’è stato dietro questa mostra?
Oltre al lavoro di progettazione, il lavoro più ingente è stato riadattare e rivisitare tutte le opere per gli spazi di Artechouse. Nessuna delle 4 opere è mai stata allestita in questo modo in precedenza.
Multiverse, per esempio, verrà realizzata con una multiproiezione in real time composta da 10 videoproiettori Full HD e un sistema audio 7.2.
Snow Fall, che è un progetto del 2009, è stato completamente ricompilato per funzionare in 4k e sfruttare le tecnologie di visione artificiale che nel frattempo si sono sviluppate.
Anche Amygdala avrà un formato nuovo, così come Clepsydra… insomma tanto lavoro che ha coinvolto tutto lo studio negli ultimi mesi.
Nella preparazione della mostra e nei vostri scambi con Washington avete già notato differenze o particolarità nell’approccio che può esserci verso questo tipo di lavoro rispetto all’Italia o, forse ancora di più, a Modena?
Le differenze ci sono indubbiamente ma mi viene più spontaneo pensare alle cose che vedo in comune e cioè un forte interesse crescente verso questo tipo di linguaggi anche perché sono in grado di dialogare con un pubblico molto trasversale con diversi livelli di profondità.
Lo abbiamo visto recentemente a Modena con la mostra di Kurokawa (al-jabr (algebra), ve ne abbiamo parlato qui) in Galleria Civica che in occasione di festivalfilosofia è stata la mostra più visitata in assoluto o con il festival NODE che anche quest’anno ha avuto un grande successo di pubblico senza scendere a compromessi sulla qualità.