Ci sono persone che vivono in una linea di confine dove non esiste il riconoscimento popolare, o lo status di artista arrivato. In questa terra di nessuno o forse di pochi ci si misura e ci si annusa a talento, divertimento, conoscenza e saggezza.
Esistono persone che alla domanda “che lavoro fai?” a quasi 60 anni non sanno rispondere ( forse per pudore o forse perchè vivono il complesso dell’impostore, leggetevi su wiki di che cosa si tratta), persone che sono uno stimolo continuo di idee.
Uno dei rari esemplari rimasti nella zona modenese si identifica con il nome Daniele aka Denny e di cognome Lugli. Artista poliedrico, stanziale e residente da sempre a Modena, sua città natale.
Sono andato a trovarlo, perché per me ha sempre rappresentato un faro di libertà creativa, una continua ed incessante macchina di idee e sperimentazione, tutto questo con una purezza e un’integrità che lo contraddistingue dal “parco artisti” modenese e non solo.
Mi ricordo il suo primo studio nella via dell’Astra, che confinava con la parete del grande schermo del cinema. Un luogo che per tutti noi è stato ricco di energia, dove abbiamo vissuto i nostri primi set fotografici, set video, concerti, produzioni di fanzine e tanto altro.
Epico il numero del magazine di cultura alternativa Frigidaire – il n. 25 del dicembre 1982 – che con nostro sommo orgoglio descriveva la scena post punk modenese e la corrente situazionista della “retroguardia”. Denny affonda le sue radici in questo substrato: il suo studio era la nostra Factory e lui era e rimane il nostro Andy Wharol.
Alla prima domanda su cosa risponde quando qualcuno gli chiede “che mestiere fai?” mostra le ultime cose che ha realizzato. Questo non avere un’etichetta spesso aiuta nella creatività: il tessuto sociale non ti assorbe completamente, il non dare coordinate è lo sfuggire alla logica tutta borghese di registrarti in una casella precisa. A livello commerciale tutto questo non aiuta… ma sicuramente offre autonomia di pensiero e di azione.
Denny, come ti consideri?
“Un curioso, mi guardo in giro e se vedo che c’è qualcosa che mi cattura, inizio ad esplorarlo finché non l’ho capito fino in fondo e non l’ho fatto mio. Per questo motivo sono sempre stato considerato inaffidabile già dagli anni ‘70 dai galleristi. Uno in particolare mi diceva: ‘Un pittore deve battere la sua carta moneta, che sono i suoi quadri riconoscibili, trovi un’idea e ne fai 50 con piccole variazioni, questa per te sarà la tua carta moneta, e perciò dopo i galleristi ti troveranno responsabile, e ti faranno fare delle mostre’. Per questa logica perversa e per altri motivi mi fa piacere non essere parte di questo ingranaggio, perché alla fine poi ho sempre legato pochissimo con il mondo artistico troppo radical chic per i miei gusti, ho sempre preferito legare con musicisti”.
Questo star fuori dal ‘sistema arte’ ti ha aiutato a creare un linguaggio meno condivisibile con il mercato?
“Rispondo con un esempio: proprio in questi giorni sto lavorando con le lamine d’oro, ispirandomi a Klimt, mi è venuto il ghiribizzo e mi sono messo lì a cercare di capire come la pittura ad olio potesse interagire con questo tipo di superficie e, non assorbendo il colore, ammetto che il risultato è molto bello! Questa è una di quelle cose che, se fossi stato sotto un gallerista, forse non avrei potuto fare con la stessa tranquillità che ho oggi quando sperimento”.
Ultimamente che hai combinato?
“Ho lavorato con Ilmo Malagoli ai trucchi del suo ultimo spettacolo ‘Une saison en enfer’. È un personaggio che mi piace molto, perchè mi ricorda me negli anni ’80 che mi sbattevo di qua e di là, e se avevo un’idea cercavo delle persone con cui condividere questa esperienza. Mi servivano dei musicisti? Li chiamavo, esponevo l’idea e insieme si realizzava un pezzo, oppure chiamavo attori per fare video… Ilmo fa la stessa cosa. E’ sempre in movimento, produce un sacco di cose e alcune volte si presenta da me con un’idea, in questo caso aveva bisogno che gli truccassi 4 persone da diavoli e io mi sono divertito a pitturare la pelle di questi attori. Con lui ho fatto anche altre cose, tipo per il festival della Filosofia del 2010, dove si era inventato una mostra di un cantautore italo-americano Lenny Pescara, che aveva lasciato la musica per intraprendere la carriera di pittore, e io avevo dipinto tre quadri che avevano come soggetto delle mucche e dei cactus nel deserto, (che era poi il luogo dove viveva Lenny Pescara).
https://www.youtube.com/watch?v=W7U_54w64KA
https://www.youtube.com/watch?v=0dyYD6BC1Zo
Erano quadri che muggivano con un sensore posto sotto al quadro passandoci accanto emettevano muggiti… e io nel frattempo mi ero travestito da Lenny Pescara (con una parrucca con annesso codino) e con la chitarra in mano… la gente pensava fossi io l’artista dei quadri, ma dicevo che ero Lenny e non Denny, un momento molto divertente! Nella mostra era capitato anche di sentire che una ragazza che era al telefono e passava vicino a i quadri diceva: ‘Ma certo che sono a Modena, sono a una mostra!’. E intanto in sottofondo si sentivano i muggiti”.
Puro situazionismo, dadaismo, le reazioni da parte dello spettatore sembra che ti catturino, come se il tuo linguaggio fosse un mezzo per capire gli altri.
“Sì, delle volte mi capita di osservare la gente che guarda le mie cose e cercare di capire le loro reazioni, quello che dicono. Ammetto che a volte diventa un’ossessione, come quella che conto quanto tempo ci metto a fare una quadro e quanto uno spettatore ci mette a fruirlo, e delle volte mi smonto quando davanti a un mio lavoro fatto in ore e ore di lavoro uno passa distratto. E allora mi viene da pensare ‘ma cosa sto a fare se poi i miei sforzi sono ripagati così malamente…’ e penso che forse ha ragione chi usa colori senza pensare a dove cadono, in maniera irrazionale.”
Passiamo ora a un tema a te molto caro: l’erotismo, una passione che condividi anche con Roberto Baldazzini. E che rimane un filo conduttore del tuo percorso artistico. Lo senti ancora attuale, ancora un mondo da esplorare?
“Sì certo. Dei lati, delle angolature nuove si trovano sempre. Io ho poi cominciato da piccolino, perché i miei genitori avevano un’orchestra di musica lounge (I Balnoas e poi successivamente Maria Katy & il Quartetto Lugli ) che girava nei night club e nei casinò di tutta Europa. Durante l’estate mi portavano con loro e, quando era finito il soundcheck pomeridiano, spesso entravano le spogliarelliste che provavano i loro show, e io che avevo 8/9 anni la trovavo una cosa già così interessante!”
L’amore per la musica arriva anche da loro?
“Certo che sì ! Poi ho scoperto Radio Luxembourg e di notte mi mettevo lì a ascoltarla e a cercare di capire le canzoni che suonavano, di chi erano e il giorno dopo andavo da Carlo Savigni ad acquistare il disco. Delle volte consigliavo le canzoni da fare ai miei, tipo The House of the Rising Sun degli Animals e poi la cosa più stupida, non sapendo l’inglese, trascrivevo le canzoni da far cantare a mia madre, imitando il suono inglese, un inglese maccheronico. A volte ho proposto loro delle cose dei Cream, non mi rendevo conto che i chitarristi non erano poi tutti uguali”.
Cosa ne pensi di questa Modena 2016? Come giudichi l’attuale rapporto tra sforzo, energia e risultato? La narrazione ossessiva delle eccellenze porta a schiacciare le nuove proposte che avrebbero bisogno di sostegno?
“Condivido questa tua visione: se devo fare un rapporto con quello che c’era, ovvio che sento una perdita di energia. Mi piaceva di più prima, ma non voglio manco fare quello che dice ‘me ne vado via da qui’. Io qui ci sto bene e la mia stanzialità mi ha aiutato nel mio percorso”.
Un periodo del tuo percorso coincide con quello del cinema. Raccontaci come ci sei arrivato, e cosa facevi.
“Mi occupavo di effetti speciali, quando c’erano ancora quelli analogici. Avevo cominciato a mettermi in giro nel 1985, perché volevo assolutamente entrare nel mondo del cinema e non conoscevo nessuno! Allora, per provare ad entrarci, mi ero auto prodotto un corto: ‘Sex Explosion’. L’avevo girato, montato, avevo fatto fare la colonna sonora a Maurizio Marsico (che allora era un prolifico musicista tra la italo-disco e la sperimentazione, cercate la sua discografia su Discogs), mi ero fatto una lista dei registi da contattare. Era la lista dei miei idoli, ero partito dal mio preferito Joe D’Amato, poi Ruggero Deodato, poi sono arrivato a Lamberto Bava, l’avevo aspettato sotto casa sua per lasciargli il film. Il giorno dopo mi disse che Sex Explosion gli era piaciuto, che poteva mettermi in contatto con il suo direttore degli effetti speciali Sergio Stivaletti. Era il 1986. Nel frattempo ho vinto anche un concorso pubblicitario a Milano, dove mi offrivano come premio uno stage in un’agenzia pubblicitaria, ma io volevo assolutamente cimentarmi nel cinema e scelsi di andare a lavorare con Stivaletti. L’inizio della mia carriera fu con ‘Demoni 2 di Bava’ (un film molto sofisticato, ricco di effetti speciali, ci eravamo fatti ispirare dal film Gremlins), poi ho lavorato con Marcello Avallone (Spettri) e con Dario Argento (Opera). Di questo film mi rimase impresso un episodio: si doveva riempire di pubblico il teatro Regio di Parma e non si poteva per problemi di budget avere 300 comparse. Quando entrai sul set vidi un centinaio di sagome di cartone di un film dove i soggetti erano Ugo Tognazzi e Stefania Sandrelli che servivano per sostituire il pubblico su ogni palco, dove mettevano solo una persona vera e le sagome dietro per far sì che il teatro fosse pieno. L’effetto era molto surreale, pensa che una troupe olandese filmò il backstage ma sfortunatamente furono vittima di un furto di tutta l’attrezzatura e perciò non esistono testimonianze delle sagome di Tognazzi & Sandrelli! Era un mestiere dove ci si ingegnava molto, era un’invenzione continua, a volte si toppava clamorosamente, a volte si facevano cose che funzionavano molto bene!”.
Un’ora intensa con Denny, forse poco per un personaggio così poliedrico e complesso…
Chiuderei questo articolo con una frase tratta da Psyco Killer dei Talking Heads:
I can’t seem to face up to the facts
I’m tense and nervous and I
Can’t relax
I can’t sleep ’cause my bed’s on fire
Don’t touch me I’m a real live wire
Con Denny forse non centra nulla, ma credo che contenga quell’energia e quel senso di libertà creativa che ancora oggi lui esprime.