Chissà se Niccolò Copernico, quando pubblicò il De revolutionibus orbium coelestium nel 1543, si immaginava che avrebbe ottenuto un risultato simile.
Era certamente consapevole del fatto che stesse per sganciare una vera teoria bomba, una rivoluzione incredibile.
La verità è che fu un flop totale.
Persino negli ambienti matematici e astronomici dell’epoca ebbe così scarso riconoscimento che il trattato venne definito come “un magnifico fallimento editoriale” o come “il libro che nessuno ha letto”.
Il colpo di grazia gli fu inferto dopo quasi ottant’anni, quando fu menzionato nell’Indice dei libri proibiti dal Sant’Uffizio rientrando così ufficialmente nella lista nera della Chiesa Cattolica, un nemico pressoché imbattibile.
Peccato però che ottant’anni furono sufficienti per permettere a un’ampia schiera di intellettuali di aderire al copernicanesimo: Galileo Galilei, Giovanni Keplero, Giordano Bruno, solo per fare qualche nome.
Eretico, falso, moralmente vergognoso: il De revolutionibus fu bandito perché sosteneva che fosse il Sole al centro dell’Universo e non la Terra, non l’Uomo attorno a cui tutto il Creato pareva ruotare.
Però una domanda sorge spontanea: se la pubblica opinione sosteneva ancora l’immutabilità della volta celeste e la immobile centralità della Terra, perché si costruivano dei globi terrestri e celesti ruotanti attorno ad un’asse di legno? Semplice: si sveltivano i calcoli e si faceva prima.
Fu così che la realizzazione dei globi in legno, dipinti e incisi da artisti e cartografi di alto livello, ebbe un successo economico elevatissimo, tanto da dover progettare un sistema più agile per produrli in serie: si stampavano rappresentazioni cartografiche delle zone comprese fra i due “fusi” (cioè i nostri meridiani) su strisce di carta che venivano poi incollate sulle sfere di legno o di cartapesta.
La tecnica, che quindi richiedeva la partecipazione di più figure professionali, rimane immutata per secoli.
I cartografi diventano delle star, professionisti strapagati che offrono nuovi occhi per conoscere non solo il mondo terrestre, ma anche quello celeste.
È questo il caso dell’artista e incisore Matthäus Greuter che a inizio 1600 si trasferì da Strasburgo a Roma diventando da subito un punto di riferimento.
Il Globo celeste di Matthäus Greuter
Il meraviglioso globo celeste che vedete in foto è una sua opera custodita nelle sale del Museo Civico di Modena: ha una base in legno di tipo olandese, con quattro colonne dipinte di nero e connesse fra loro da una quinta colonna più piccola centrale che sostiene l’anello meridiano.
Le fattezze del globo celeste imitano l’opera di Joan Blaeu, uno dei più grandi cartografi olandesi che aveva avuto un cospicuo successo commerciale a livello internazionale.
Il globo che potete trovare nella Sala degli strumenti scientifici dei Musei Civici, offre non solo una curiosa interpretazione del cielo e delle sue principali costellazioni, che a quel tempo si credeva fossero fisse, ma anche una rappresentazione dei segni zodiacali, delle direzioni geografiche, dei giorni e dei mesi dell’anno.
Fu il Gabinetto di Fisica dell’Università di Modena a cederlo nel 1889 al fondatore e primo direttore dei Musei, Carlo Boni, a cui si aggiunsero altri due consistenti gruppi di materiali che contribuirono allo sviluppo del concetto del Museo come un laboratorio di esperienze e scoperte oltre i limiti della conoscenza.
Infatti già da inizio secolo Modena si stava preparando per diventare un importante occhio di osservazione per studi astronomici e meteorologici.
L’Osservatorio Geofisico di Modena
Partì tutto dal fratello del Duca Francesco IV d’Este, Massimiliano, che manifestò il suo vivo interesse affinché la città ospitasse un Osservatorio astronomico di ampio riconoscimento. Furono nominati due grandi scienziati che collaborarono per la nascita dell’Osservatorio: Giovanni Battista Amici e Giuseppe Bianchi, il quale indirizzò in particolare tutti i suoi studi e interessi all’astronomia.
Il Regio Osservatorio Astronomico fu realizzato presso il Palazzo Ducale di Modena: il Duca ne fu così orgoglioso che lo considerò come luogo di rappresentanza e tappa fissa nei percorsi di visita organizzati per principi, sovrani e ospiti illustri, insieme con la Galleria dei dipinti e la Biblioteca.
Dal 1827 l’Osservatorio iniziò a essere riconosciuto e apprezzato anche nel mondo accademico come sede di una importante attività didattica e di ricerca che poteva vantare una notevole raccolta di strumenti scientifici nuovi, ma anche risalente a qualche secolo prima.