Da ormai quasi un anno il teatro è in una pausa forzata di cui a oggi non si riesce ancora a scorgere una possibile fine. Tra i progetti sperimentali nati per una sua fruizione differente c’è quello di Teatro Express della compagnia Peso Specifico, per la regia di Roberta Spaventa (ve ne abbiamo parlato qui in occasione della presentazione, ndr).
Sul sito della compagnia è possibile scegliere e ordinare un monologo e farlo recapitare direttamente a casa propria, o meglio, sul pianerottolo di casa. Del progetto, che ha visitato molti pianerottoli, abbiamo voluto parlarne direttamente con Roberta Spaventa.
Teatro Express ha alle spalle più di un mese di vita, un lasso di tempo ragionevole per fare un primo bilancio: quali sono state le luci e quali le ombre del vostro progetto?
Sebbene luci e ombre siano necessarie alla vita stessa, per essere sinceri, in questo progetto la luce ci ha travolti. Una luce fatta di numerosissime richieste, molte segnalazioni nazionali sui media e tanta commozione.
Le aspettative che avevate nutrito per questo progetto sono state ripagate? Se sì, in che modo?
Il desiderio che ha mosso la compagnia era quello di non restare atrofizzati ad aspettare un nuovo DPCM per poter lavorare e far vivere il teatro in presenza. Volevamo esserci ed essere parte di azioni resilienti necessarie per pensare e costruire mondi possibili, anche in stati di emergenza come questo. Le richieste sono state molte e la relazione è stata al centro del nostro agire scenico, in maniera amplificata e sorprendente.
Cosa ha rappresentato per voi incontrare il pubblico in questa nuova e insolita modalità?
Ha significato entrare, in punta di piedi, nelle vite delle persone, spesso senza che loro si aspettassero nulla. L’incontro sul pianerottolo era come “abitare” la soglia, nella prossimità se non nella vicinanza. Si è sempre creato un legame preferenziale, della durata di solo dieci minuti, ma abbastanza da condividere emozioni e vissuti, che solo il teatro sa veicolare.
Spesso la commozione degli spettatori ha preso il sopravvento e c’è stata molta gratitudine per aver portato un pezzetto di teatro nelle loro vite quotidiane in un momento dove è interdetto ogni evento culturale. A volte si trattava di persone avvezze ad andare a teatro, altre volte abbiamo raggiunto persone che per età o abitudini, non ci erano mai andate.
Al contempo, come attori, ha significato mettersi a nudo, rinunciando al palco, alle luci, alle scenografie e a quel patto tacito fatto di ascolto e silenzio in un luogo protetto. Abitare un pianerottolo significa, infatti, far fronte a molti imprevisti: la luce che si spegne in automatico, le persone che transitano durante la rappresentazione, il freddo a volte pungente specie nei giardini e nei cortili privati. L’attore conta su se stesso e sulla relazione unica che si instaura con il suo interlocutore, il resto è incertezza.
Alla fine della prima parte di questo percorso (quella natalizia), la compagnia Peso Specifico cosa porta con sé sul proprio ideale pianerottolo?
La certezza che, con ingegno e passione, competenza e sincerità, il teatro non può essere fermato. La nostra compagnia, con questo progetto, ha unito un’azione poetica, sociale e politica.
Siamo sempre stati un teatro di comunità, se pur la stessa definizione potrebbe rendere sterile e puro contenitore ciò che per noi è una vera e propria missione, declinata negli anni attraverso le varie pieghe che ha preso il nostro percorso teatrale di compagnia.
Raccontaci una “consegna” che vi ha colpiti particolarmente.
In realtà, in un confronto incrociato tra noi attori, ci siamo resi conto che ogni monologo o fiaba consegnata ha una sua storia unica e preziosa, difficile scegliere un unico aneddoto.
Ci sono stati bambini increduli e partecipi, con sorrisi luminosi, famiglie con sedie preparate a mo’ di piccola platea e volti emozionati, madri sole che attraverso il monologo a loro dedicato sentivano vicini figli lontani e poi ancora donne impreparate, convinte di attendere un pacco e stupita di avere un monologo nel proprio giardino. Tanta commozione e desiderio di arte e bellezza.
Ma il giorno di Natale la sorpresa l’hanno fatta a noi: nel giardino un teatrino allestito con sipario e macchina del fumo, nel bel mezzo della grande grandinata di fine pomeriggio.
Rispetto all’idea Pianerottoli da cui questo progetto è nato, quanto Teatro Express vi ha sorpresi?
Con questo progetto, un antico desiderio del 2005 di fare un festival sui pianerottoli dei condomini di molti quartieri e città si è oggi, in parte, concretizzato, portando la nostra pratica teatrale a contatto con persone spesso sole e isolate, o semplicemente avvilite e affamate di relazione, arte, condivisione.
Così un monologo teatrale è diventato occasione di commozione, incontro, relazione. Con soli dieci minuti, adulti e bambini si sono mostrati coinvolti e stupiti, e noi con loro. Tutti aspetti di cui il teatro è portatore e senza il quale soffre.
Ci hai accennato che non è vostra intenzione semplicemente archiviare Teatro Express ma che ne vedi una sua evoluzione.
Impossibile pensare di smettere.
I teatri e tutte le altre attività, in primis quelle culturali, debbono riaprire, ma parallelamente noi continueremo ad “abitare” la soglia, sui pianerottoli di passaggio, dove spesso la relazione è interdetta o fugace, nell’attesa che si possano aprire tutte le porte e si possa condividere l’arte in ogni condominio, di ogni quartiere e città. Un sorta di carovana artistica itinerante, come era il progetto pensato tanto tempo fa.
Intanto proporremo nuovi monologhi e nuove fiabe, cercando un dialogo con le istituzioni per poter portare Teatro Express alle persone sole, isolate o poco abbienti. Una sorta di servizio culturale in sinergia con un ipotetico “Assessorato contro la solitudine”.